19 marzo - 7 aprile 2025
WILD SARDEGNA, DIARIO DI VIAGGIO
parte seconda
Day 10.
La mattina del 28 marzo lascio Cagliari. Ho forte vento a favore e viaggio lungo la bianca spiaggia del Poetto. Sono chilometri di pianura tra palme e stabilimenti balneari su una ciclabile meravigliosa, all'altezza delle migliori piste dell'Adriatico.
Poi la strada si movimenta e si alza scavalcando promontori protesi sul mare. Scorgo dall'alto calette dalle acque azzurre e turchesi incorniciate da macchie di mirto, lentisco ed erica. Proseguo sino a Capo Carbonara, dov'è un basso castelletto. Tutte le attività di ristorazione bar compresi sono chiuse - mi fermo a mangiare qualcosa in località Simius vicino alla spiaggia. Mi stendo, poi decido di cercare l'ombra perchè inizio a rimbambire sotto il sole. Non sono mai stato fatto per stare al sole.
sopra: immagini della costa ad est di Cagliari
Riparto alle 14 sempre costeggiando il mare e fotografando panorami incantevoli. Oltrepasso la località turistica di Costa Rei stracolma di supermercati, bar, pizzerie eccetera tutti chiusi. Fortunatamente ho ancora scorte di cibo. Il vento soffia sempre più forte - dopo 81 chilometri imbocco una sterrata che porta al mare.
C'è un vasto parcheggio in terra battuta inaccessibile alle auto perchè completamente allagato e una spiaggia dunale che sembra infinita. Piazzo la tenda con difficoltà sotto un vento fortissimo e provvedo ad ancorarla alla bici con dei tiranti supplementari.
in alto: la costa a sud est dell'isola; l'accampamento a Piscina Rei
Day 11.
Durante la notte il vento ha soffiato a livelli drammatici. Ho dormito poco e male perchè i teli facevano un fracasso infernale e temevo si spezzasse la paleria. Anche smontarla non è stato facile: avessi mollato i teli, essi sarebbero volati via verso il mare in mezzo secondo - e allora ciao ciao viaggio...
Che bella però l'alba. Aprire la cerniera dell'abside e vedere il sole delle 6 del mattino sul mare.
Sono stanco oggi - voglio pedalare poco. Copro i 31 chilometri per Villaputzu e mi fermo in un B&B.
in alto: l'alba dalla tenda e il piccolo borgo operaio di S.Priamo costruito negli anni Trenta per gli operai addetti alla bonifica dei territori limitrofi
Day 12.
Dopo il vento, pioggia. Scrosciante durante tutta la notte. Potrò ripartire solo dopo le 10 del mattino lungo la ex statale 125 Orientale Sarda. Sulla destra ho le montagne della regione di Quirra. Rivedo la chiesetta romanica in mattoni rossi di S.Nicolò, in mezzo ai mandorli. Rivedo il paese di Tertenìa, dove 34 anni fummo ospitati dal parroco in un capannone adiacente alla chiesa.
Don Lai, così si chiamava, è deceduto nel 1999 a 55 anni, così recita una targa commemorativa all'ingresso del cimitero del paese. Peccato, avrei avuto piacere a riincontrarlo.
Riprendo la strada e mi imbatto in una cicloturista tedesca senior che procede in direzione opposta alla mia. Ha una bici elettrica e vari bagagli - dice che il suo problema è quello di trascorrere praticamente tutto il giorno in silenzio - la rarefazione comunicativa.
Malgrado la stanchezza riesco a completare questa tappa di 49 chilometri e 540 metri di dislivello raggiungendo Jerzu, un paese di 3mila abitanti abbarbicato sul costone di una montagna. Mi fermo in un B&B che è un capolavoro di pulizia e comodità complimentandomi con il gentilissimo giovane proprietario che lo ha ricavato da un immobile di famiglia, con fatica immane e sporcandosi le mani in prima persona.
Jerzu, provincia di Nuoro (427 m.)
Day 13.
Dal centro storico di Jerzu riguadagno la strada dopo un paio di chilometri di durissima salita, tanto che devo scendere dalla bici e spingere. Poi grazie alla traccia suggerita dal software imbocco il tracciato di una ex ferrovia che mi porta alla stazione ormai in disuso di Gairo. Sono a poco più di 780 metri.
Mi sento più in forze oggi. Pedalo su strade deserte in mezzo a panorami sconfinati di montagne. Non passa letteralmente nessuno, nè auto nè gruppi di motociclisti.
in alto: lungo la ex ferrovia che porta alla stazione di Gairo (780 m.)
La strada che seguo sembra salire fino al cielo, poi raggiunge un valico, perde quota e si stabilizza in un ambiente selvaggio e disabitato sempre in vista della Perda Liana, un antico spuntone roccioso alla quota di 1293 metri.
Scendo verso la valle di un importante fiume perdendo la quota faticosamente guadagnata. Ora sono di nuovo a 670 metri, in un fondovalle da cui inizia la strada per uno degli obiettivi principali del viaggio: il sito di LR.
[nota: non fornisco indicazioni sull'ubicazione del posto]
LR svetta a 1200 metri di quota. Ma non è finita: il nuraghe è circondato dalle rovine di un villaggio di decine e decine di capanne abitato sino al 1400 circa e abbandonato in seguito a una epidemia, secondo le ipotesi più accreditate.
Conoscevo LR da un articolo su una rivista di viaggi di oltre vent'anni fa ed ero rimasto affascinato da questo particolare sito.
Complice il tempo un po' ventoso ma tutto sommato sereno decido di dare l'affondo alla tappa della giornata: alle 14 affronto i dieci chilometri rimanenti per il sito, aggiungendo altri 530 metri di dislivello.
sopra: la valle del fiume da cui parte la strada per LR.
sotto: in salita verso il sito nuragico d'alta quota
Appena lasciato il fiume la strada, asfaltata, esibisce il massimo della pendenza come prevedevo. Scendo e spingo per tratti che sembrano interminabili. Verso gli 800 metri ridiventa pedalabile. Nell'arco di due ore riesco finalmente a portarmi in quota e raggiungo il posto.
Soffia un forte vento e la prima cosa che vedo, più che il nuraghe, è una terna di piccole costruzioni recenti forse erette a scopo di valorizzazione turistica. Due di esse sembrano aperte e in disuso. All'interno non c'è immondizia e decido assolutamente che monterò la tenda all'interno per ripararmi almeno in parte dal vento.
Lascio la bici e mi dirigo verso il nuraghe, in alto. Ne varco con emozione la soglia antica, tocco le pietre, indugio al suo interno. Con emozione osservo le rovine ormai illeggibili del villaggio: cumuli di pietre quasi raso terra in cui l'occhio attento individua forme circolari e accenni di muri di divisione.
sopra: l'arrivo a LR. - nuraghe d'alta quota
C'è un pastore mio coetaneo fermo con il suo fuoristrada. Faccio conoscenza e cerco di informarmi sul posto. Mi racconta, secondo quanto sa, che una pestilenza decimò gli abitanti i cui sopravvissuti non furono accolti nei paesi più vicini, ma nel suo. E che ancora oggi in quel paese sopravvivono certe specifiche particolarità linguistiche attribuite proprio al sito di LR.
"Qui in passato si dice fosse coperto di foreste", mi informa.
Chiedo dove e come quella gente reperisse l'acqua, e il pastore mi porta a vedere un "pozzo sacro" distante una decina di metri: è una buca rettangolare di un metro quadrato dove in effetti si vede dell'acqua.
Vivere qui a questa quota, in un posto così ventoso e poco appetibile doveva essere davvero duro. Tuttavia, meglio qui che finire sottomessi ai Romani.
Saluto il pastore e mi ritiro nel mio "albergo". Il vento si accanisce contro il piccolo edificio e riesce a entrare da porta e finestre, appena un po' smorzato. Questo è il punto più alto raggiunto in viaggio.
Day 14.
Durante la notte ha fatto un bel freddo - cosa che non mi ha impensierito dato che ho portato due sacchi a pelo, ecco a cosa serve quella cosa che si chiama "esperienza".
Vorrei starmene comodamente ancora dentro ma non voglio perdermi l'alba dal nuraghe. Mi rivesto, vado, entro tra le antiche pietre e noto che la porta d'ingresso era stata esattamente orientata verso il punto in cui sorge il sole e in direzione della Perda Liana che svetta a distanza.
Poi decido finalmente di lasciare il sito. E non è semplice. La strada che si dirige verso ovest è più o meno in discesa ma è una carrareccia che attraverserà tre guadi, risalendo ogni volta bruscamente nella veste di una pista pietrosa e dissestata in un paesaggio dove non passa anima viva.
Ancora fatica e spinta a mano della bici. Ci fosse maltempo sarebbe veramente dura tirarsi fuori da qui, intendo dire anche emotivamente.
Alle 13 raggiungo il valico di Guttertorgiu e infine Fonni, che con i suoi 1000 metri è il comune più alto della Sardegna. E a questo punto un piccolo albergo non me lo toglie nessuno -
Passo il pomeriggio a passeggiare per il paese, tra vicoli e case in pietra, in un'aria gelida che mi piace da morire. Ci sono anche dei bei murales a tema agricolo e pastorale. Ma soprattutto gioisco con la spalla di pecora in umido servita al ristorante dell'albergo. E se avessero anzi portato l'intera pecora non mi sarebbe dispiaciuto.
in alto: murales e scorci a Fonni, m.1000 (Nuoro)
Day 15.
Riparto da Fonni con una temperatura di 6 gradi. Pedalo tra desolate campagne con querce e greggi sino a Orgosolo, dove mi fermo due ore per fotografare i famosi murales "politici".
Proseguo poi per Oliena dove trovo alloggio in un B&B dotato di una stufa a pellet nella stanza. E' un paese di 6500 abitanti sovrastato a sud da colossali montagne calcaree ripide e scenografiche chiamate per l'appunto 'Supramonte'.
Cerco un locale dove mangiare carne abbondante e lo trovo. Una memorabile cena proteica che condita con birra sarda Ichnusa mi rende felice quanto quella sensazione unica e irripetibile di "essere in viaggio".
sopra: l'arrivo a Orgosolo
sotto: altri murales e immagini di Oliena, m.340
Day 16.
Da Oliena scendo verso la valle del fiume Cedrino e risalgo verso Lula. Ma prima visito il sito della Tomba dei Giganti di S'ena e Thomes. Si tratta di un luogo di sepoltura segnato da una scenografica schiera semicircolare di massi di granito tra i quali quello centrale del peso di sette tonnellate.
L'etimologia del nome è sconosciuta agli stessi sardi.
sopra: l'iconico sito archeologico di sepoltura di S'ena e Thomes
La carne e il riposo danno i risultati: risalgo chilometri e chilometri con le gambe efficienti come non mai.
Dopo una sosta nei pressi di un gruppo di chiese campestri sono a Bitti dove mi fermo in un B&B ricavato da un vecchio edificio nobiliare di fine Settecento. Sono felice perchè ho l'alloggio tutto per me, mi trovo in un altro bel posto e potrò riposare su un buon letto.
Day 17.
Che magnifica colazione davanti a una finestra a pochi passi dai tetti e dai camini che fumano. Ed è con quest'odore che amo di legna bruciata che lascio Bitti e mi reco verso Alà dei Sardi.
In mezzo ci sono 18 chilometri di una pista che fa parte del percorso recentemente istituito del Trans Sardinia. Erba, pietre affilate, pietre rotonde, sabbia, tratti fangosi. Avanzo sperando di non avere una seccante foratura, tuttavia il paesaggio mi galvanizza: sembra l'Australia. E' meraviglioso.
sopra: il selvaggio tratto tra Bitti e Alà dei Sardi
Raggiungo Alà dei Sardi prima delle 12. Il paese rivela il suo trascorso povero, tuttavia lo trovo dignitoso e luminoso, piacevole. ma soprattutto trovo anche un semplice vecchio caro negozietto di alimentari aperto: che gioia rifornirsi invece di trovare sempre scritto "Chiuso, riapertura alle 16" (se va bene).
Sul sagrato antistante la chiesa ci sono tre coppie di ventenni in bici. Provengono dalla Lombardia. Dicono di viaggiare per una settimana, per fare una prova di cicloturismo. Veterano tra loro, accenno a mie passate "imprese" ma soprattutto li esorto al consiglio numero uno: mangiare bene e mangiare carne.
Le ragazze storcono allora il naso - e io intuisco quello che già aleggiava nell'aria: veganesimo e vegetarianesimo. Eh, ragazzi... mi complimento con voi ma senza carne e andando a pedali non si canta messa. Con gli hamburgerini di soia le gambe fanno sciopero...
Poi strette di mano e ognuno riprende la strada.
La mia mi porterà ad accamparmi in tenda sulla ex ferrovia che collegava Monti a Calangianus.
Day 18.
Percorro i rimanenti chilometri sulla ex ferrovia e raggiungo a fatica Tempio Pausania città di granito; il corso è affollato di gente. Nel pomeriggio visito la città che ha un impianto tortuoso in cui si perde facilmente l'orientamento. Fiorivano qui aziende di lavorazione del sughero con produzione di tappi. Sono attirato da una piccola chiesa seminascosta, quella di Nostra Signora del Pilar.
E' sempre aperta sino a tarda sera. Dentro è semplice, intonacata di bianco col soffitto a botte. Qualche nicchia con santi e un odore di incenso, di antico. Vi trovo serenità.
sopra: a Tempio Pausania; il gruppo di donne più in basso riguarda il controllo di qualità nella produzione di tappi di sughero
Day 19.
Da Tempio Pausania navigo verso l'area di monte Pulchiani, alla cui base si trova una conca fraicata = grande roccia modellata dagli eventi atmosferici e trasformata in ricovero.
Imbocco una sterrata di due chilometri che si snoda in un paesaggio tipico gallurese: infiniti muri a secco, pascoli, buoi, pecore, maiali e alberi di sughero.
La strada riprende a salire sino a 520 metri, ridiscende verso il mare in località Valledoria. Da qui pedalo verso ovest; mi fermo presso l'ultimo nuraghe del viaggio e alla Roccia dell'elefante, scultura naturale di roccia lavica appena a bordo strada.
in alto: nei pressi di monte Pulchiani; nuraghe Peddaggiu
sotto: la Roccia dell'elefante
Devo decidere se fermarmi in tenda da qualche parte in serata oppure optare per una soluzione comoda a Castelsardo, che non ho mai visto. Alla fine prenoto un B&B per la città, e per l'ultima notte del viaggio.
sopra: la costa settentrionale e Castelsardo
Dedico il pomeriggio alla visita della parte vecchia di questa città ormai divenuta meta turistica. Una foto in bianco e nero dei primi del Novecento mostrava la collina dell'immagine in alto completamente spoglia; c'era solo il poderoso castello roccaforte dei Doria a troneggiare in alto.
I vicoli del centro storico sono pieni di gradini, le costruzioni molto alte. La chiesa più bella è quella di Sant'Antonio Abate,con la facciata di pietra vulcanica orientata verso il tramonto e un torrione che la affianca.
Dopo cena mi ritiro al B&B, uno dei migliori del viaggio, consapevole che domani sarà una passerella finale verso Porto Torres e la chiusura dell'anello.
Day 20.
Mancano 35 chilometri all'arrivo. E' una bella giornata con tanto di vento a favore da est. Pedalo lungo la costa settentrionale e in poche ore raggiungo la bellissima pineta marina di Platamona.
Mi fermo un'ora sulla sabbia della discesa al mare numero 4, quella che mi è piaciuta di più perchè meno accessibile alle auto. Ascolto come da tradizione il brano Can't Find My Way Home dei Blind Faith, mio inno pluridecennale.
Riparto e vorrei rallentare la corsa. Ma la bici, forte del vento a favore, sembra voler prendere il volo.
E allora la lascio fare, lei silenziosa che ha visto con me mille strade.
Sto percorrendo a ritroso il tratto di 15 chilometri fatto venti giorni fa. Rivedo il bivio dove avevo preso la strada per l'interno dell'isola. Rivedo i saliscendi costieri poco prima di Porto Torres - li avevo percorsi con una certa fatica, ora ho gambe più forti e mi sembrano roba da nulla.
Senza neanche accorgermene entro nell'area urbana e nella piazza da dove tutto era iniziato. Wild Sardegna finisce qui, dopo 981 chilometri e un dislivello di 11mila e 350 metri.
Eppure voglio ancora vedere una cosa. Riprendo la bici e mi reco alla cattedrale di San Gavino, in alto sulla collina. Quella chiesa romanica ampia e luminosa che avevo visitato all'inizio del viaggio.
Entro e mi siedo ripercorrendo col pensiero questi venti giorni indimenticabili, pieni di Sardegna.
Pieni di luce, di polvere, di strade, di salite. Di fatica, di felicità, di stanchezza, di meraviglia.
Pieni di odore di erica, di ricordi, di begli incontri. E di cani che mi hanno inseguito, e di natura e di quel nuraghe perso ad alta quota tra montagne ventose.
In fondo questo viaggio è stato un rivivere, un ricordare cui si è aggiunto tanto di nuovo.
Ecco, quello che cercavo ho ritrovato
- quello che ho trovato chissà, forse rivedrò ancora.
WS2025 - 16 aprile 2025