mercoledì 26 settembre 2018

In bici lungo la costa. Vento, mare mosso e tanta libertà.







Forse le cose meno programmate sono le migliori. Oggi mercoledì 26 settembre avevo progettato di recarmi un'altra volta in bici sulle montagne, invece siccome mi sentivo un po' stanco ho optato per tutt'altra direzione: un giro di 32 chilometri lungo la costa marina.


Sono partito alle 8 da Capo d'Orlando (ME) pedalando lungo la bella ciclabile di recente realizzazione. Cielo cupo e mare abbastanza mosso, vento fresco da nord. 


In bici sulla ciclabile di Capo d'Orlando,
nel tratto Lungomare Andrea Doria.



Barche in secca e cielo foriero di maltempo.



Un bel tratto sterrato della pista ciclopedonale;
peccato essa si interrompa più avanti a causa di
una mareggiata che ha portato via tutta la spiaggia.




Oltrepassato il faro del Capo mi sono diretto a est verso Brolo (ME), tra stabilimenti balneari ormai chiusi e bei paesaggi di mare.


Il faro di Capo d'Orlando (ME).












sopra e sotto: stabilimenti balneari ormai
chiusi per fine stagione








Un piccolo specchio d'acqua costiero in
località Lido di San Gregorio.




Superato il porto turistico di Capo d'Orlando e affrontata la breve ma ripida salita in località Scafa, sono arrivato a Brolo. La cittadina è sormontata da un bel castello e possiede un arioso lungomare.


 Veduta del porto turistico di Capo d'Orlando (ME);
sullo sfondo il promontorio conico alla cui base c'è il faro.




Il castello di Brolo (ME) ripreso dal lungomare.




Qualcuno osa affrontare i flutti.




Il capolinea del percorso è stata la Torre Gliàca, un edificio costruito a picco sul mare:







Nel tratto di rientro è uscito un po' di sole ma è durato davvero poco. Mi sono goduto la sensazione di "viaggio" assaporando il vento forte a favore e qualche spruzzo di aerosol marino.
Rientrato a Capo d'Orlando mi sono appropriato di una panca di fronte al mare dove ho mangiato dei panini portati da casa e uva del mio pergolato come dessert.

E' stata proprio una bella uscita.



Scorcio di una villa padronale lungo la Statale 113.




La strada costiera.






sopra e sotto: mare mosso
a Capo d'Orlando








Si mangia di fronte al mare.






martedì 25 settembre 2018

In bici alla grande masseria di montagna di Monte Colla sui Nebrodi.



La prima sosta della giornata, presso la Rocca 
di contrada San Marco, Ucrìa (ME)



Forte di un discreto livello di allenamento con la nuova bici da montagna, inauguro da adesso la serie di uscite del tipo "day-trip" in cui sto fuori dall'alba al tramonto nella natura siciliana.
Questa escursione mediamente impegnativa di 50 chilometri mi ha portato alla masseria di montagna di Monte Colla nel territorio del comune di Floresta (ME), un grande complesso agricolo-signorile che narra di antichi splendori.




Lasciata l'auto a mille metri di quota nei pressi di una trattoria, ho affrontato subito una decina di chilometri in salita sino a Floresta, il comune più alto della Sicilia. A metà di questo tratto ho fatto una sosta presso il sito fotografato in alto. Si tratta della Rocca, una curiosa formazione di arenaria che si suppone sia stata luogo di riparo e fabbrica di selce nel corso del Paleolitico superiore (da 36mila a 10mila anni fa).





sopra: uno dei plurifotografati Lama che si trovano
in prossimità della Rocca, nei pressi dell'omonima trattoria




Lasciata Floresta mi sono inoltrato per un breve tratto nella Dorsale dei Nebrodi sino a incrociare l'inizio della lunga discesa dissestata della Costa di Sant'Antonio, ombreggiata da roverelle e singoli esemplari di alberi secolari.




in alto: appena lasciata la Dorsale dei Nebrodi
in prossimità di Portella Castagnera, m.1350



in basso: gli sconfinati panorami delle terre alte di Floresta (ME)







La lunga discesa mi ha stressato non poco: la strada era in condizioni pessime con innumerevoli pietre aguzze e sporgenti. Ho dovuto attraversare due enormi pozzanghere profonde e melmose affondando sino a metà polpaccio, dato che da un lato e dall'altro un solido recinto di filo spinato impediva diversioni.
Sono quindi giunto all'area Forestale di Zarbata, dove si trova una caserma immersa in un bel bosco e un'area con panche e tavoli di legno a disposizione di chi voglia fermarsi.


Una costruzione isolata in località Caserma Forestale Zarbata, m.1095
Sullo sfondo, il fitto bosco del (fiume) Flascio.




A questo punto ho iniziato a rimontare il fianco occidentale del Monte Colla (il toponimo colla significa "collina") salendo lungo una larga sterrata profumata di conifere per un dislivello di oltre 300 metri. Durante il tragitto non ho incontrato anima viva; giunto quasi in cima, la strada spianava e offriva panorami aerei e gratificanti.


La salita di cinque chilometri che dalla Caserma Zarbata
porta a Monte Colla



in basso: panorami ariosi che si offrono al
ciclista o camminatore che esplori questi luoghi











A mezzogiorno e mezza sono finalmente arrivato alla masseria di Monte Colla, m.1426. Il cancello di accesso era chiuso, ma a lato si trova una scaletta di legno per i pedoni. Ci sono segnali bianchi e rossi per l'escursionista i quali fanno supporre che si possa entrare a piedi.

Ed è a questo punto che mi sono accorto di aver perso un pezzo del treppiedi fotografico - per la precisione l'asta centrale ! Già pregustavo il pranzetto e il riposo, invece mi è toccato ritracciare il percorso per circa un chilometro sino al punto dove... ho scattato la foto in alto. 

Ritrovato il prezioso aggeggio, mi sono accomodato a mangiare su un tavolo nel giardino del palazzo padronale della masseria, che stante il posto e la quota sembra surreale.




in alto: il palazzo signorile della masseria di Monte Colla, lato retro.
Sulla destra si nota un abbeveratoio in disuso con il segno bianco e rosso
per gli escursionisti. L'edificio sulla sinistra con il tetto coperto di muschio
è invece la cappella privata della proprietà.



in basso: il giardino antistante la facciata principale,
dove ho sostato per pranzo





La storia di questo posto è interessante. Si tratta di un complesso di edifici costruiti dal barone Vagliasindi di Randazzo (CT). Il palazzo giallo è appunto quello destinato alla residenza dei signori dell'epoca; ha le dimensioni di un convento, e dopo un periodo di rovina seguito alla morte del barone pare sia passato a un privato (un avvocato) e attualmente risulta in uso come hotel per turismo rurale.

Il sito dell'albergo, che si chiama 'Hotel Nebrodi' è questo.

Il barone era un politico molto abbiente - e d'altronde è ovvio: solo gente ricchissima poteva realizzare opere così imponenti in posti decentrati e impervi come questo. Nacque nel 1858 e morì di pleurite a soli 47 anni. In questa pagina si trova una lunga elegia/biografia. La settima foto è proprio il prospetto principale dell'edificio. Notare che il cespuglio in primo piano nella foto d'epoca è esattamente quello che si intravede a destra nella mia foto sopra, più di un secolo dopo.

Nelle immediate adiacenze si trovano diversi altri corpi di fabbrica:




 Magazzini e abitazione del campiere e della
sua famiglia.



Stalle e probabilmente cantine.
Quello centrale con l'intonaco ocra dev'essere l'edificio
originario. Successivamente sono state fatte delle aggiunte
da un lato e dall'altro, segno che la masseria ebbe un periodo
di espansione.



Un altro scorcio della vecchia casa del campiere, lato sud.



Un edificio completamente privo di tetto e destinato
ad opificio. All'interno si trovano rottami di grossi tubi
di ventilazione. Forse vi si lavoravano prodotti agricoli.



Rottami di macchinari, tra cui una ruota
con mozzo in ferro e raggi di legno



Un piccolo lago per gli animali; sullo sfondo la mole dell'Etna.



A circa cento metri dalla masseria si trova un'area recintata annunciata da un cartello Comunità Europea/Regione Sicilia eccetera che narra di un intervento di "sviluppo rurale e fruizione". E' stata realizzata una capanna conica bella in sè ma avulsa dal contesto circostante, e alcune panchine con tavoli. 
Il posto è impraticabile per la vegetazione selvaggia che lo ha invaso, in particolare cardi spinosi e ben grassi. Probabilmente qualcuno (come me) si reca a curiosare la capanna ma non si ferma certo a mangiare proprio qui, tra l'altro in pieno sole senza un filo d'ombra e in mezzo a erba alta quasi un metro:


Il cartello luogo di atterraggio per milioni di mosche





in alto e in basso:
la capanna per i fruitori e uno dei tavoli
con panchine realizzati nel programma






Il mio pranzo è consistito in: piadina di produzione del Trentino con pomodori e acciughe salate, più uva della mia campagna - un po' malridotta a seguito del trasporto.
Nelle vicinanze c'era un gregge di pecore che brucavano, svogliatamente sorvegliate da un cane bianco che si è avvicinato senza intenzioni minacciose.
Gli ho dato qualcosa da mangiare e mi ha fatto capire che se ne sarebbe venuto volentieri a casa con me -

Per il resto, il posto era completamente deserto. Nessun avventore, nessun "turista", nessun guardiano. Ho mangiato tranquillamente osservando nuvole che oscuravano il sole. Il posto è bellissimo ma mi ha lasciato addosso una costante sensazione di essere osservato.

Chissà quanta gente ci lavorava, qui. A giudicare, dovevano essere tanti. Chissà le urla, le risate, le bestemmie, le maledizioni, i canti, le feste dopo la vendemmia o dopo la raccolta del grano. E tutti col cappello in mano quando passava il barone; mi pare di vederla, questa gente.



Il mio pranzo nei pressi del giardino della masseria.



Ho lasciato il posto alle 15, affrontando chilometri di discesa nel fitto bosco della Faucera sino alla valle dell'alto Alcàntara, alle pendici orientali del Monte Colla.
Mi sono fermato un attimo a curiosare l'unica costruzione nel bosco: una piccola casa di pietra. Chi l'avrà fatta? Pastori o boscaioli?




in alto e in basso:
la lunga discesa nel bosco della Faucera







Alle 16 ho raggiunto la Costa del Salice, luogo dove nasce il fiume Alcàntara - qui ancora un torrente insignificante. 


Località Costa del Salice, dove nasce l'Alcàntara.



Verso Floresta, e la chiusura del giro



Le salite non sono finite. Per tornare a Floresta che era ormai in vista ho dovuto affrontare una ripidissima salita per fortuna asfaltata. Le gambe c'erano e rispondevano bene. Quasi alla fine della salita mi sono rifornito avidamente di more cresciute a bordo strada.
Ho raggiunto il paese mentre grosse nuvole lo oscuravano - l'Etna che fa da sfondo non era visibile.


Le more ancora mature a queste quote,
conforto del ciclista in salita.





sopra e sotto:
due immagini dell'arrivo a Floresta, m.1200







Mancavano altri dieci chilometri di discesa, tutti asfaltati. Parte di questi li ho percorsi nella nebbia causata dalle nuvole. Da queste parti il tempo è molto variabile ma è stato bello fare lo spavaldo sapendo che non mancava molto per giungere alla macchina e poi a casa -

L'ultima foto di questa bellissima giornata l'ho scattata nei pressi di Portella San Marco, soddisfatto dal lungo giro in sella ad Asmara, la mia bici da montagna. 
E se questo è l'inizio, direi che il futuro lascia ben sperare.





Io e Asmara a Portella San Marco, a pochi
chilometri dall'arrivo.




EQUIPAGGIAMENTO

Per questa uscita ho equipaggiato la bici da montagna con una borsa al manubrio acquistata al Decathlon. Il sistema di fissaggio ricopia quello della tedesca Ortlieb, leader mondiale assoluto nelle borse da cicloturismo. E malgrado gli scossoni, anche l'articolo del Decathlon pare rispondere bene.
Ci tengo dentro la macchina fotografica, un obiettivo e il navigatore gps. Il portacarte trasparente è molto pratico. Il fondo della borsa conviene risvestirlo con doppio o triplo strato di plastica a bolle, dato che è duro e non ammortizza il materiale fotografico trasportato.

Nello zainetto dietro: cibo, un pile leggero, giacca impermeabile, battery pack per ricaricare smartphone e gps avidi di energia e camera d'aria di riserva più leve cacciagomme.





venerdì 7 settembre 2018

La natura è stanca. Appunti di fine estate.








Come ogni anno, mi accorgo che la natura inizia ad essere stanca. Dei lunghi mesi estivi, di produrre fiori, di produrre frutti, di dare
Sono stanchi i pomodori, che però cercano di fare il loro dovere fino all'ultimo maturando sui filari piegati dal peso:






Sono stanchi i cetrioli dalle foglie enormi, dai frutti ormai deformi:






Sono stanchi i fiori nella fioriera di pietra, che ormai è inutile annaffiare come facevo ogni mattina dalla fine di maggio. E stanco è pure il basilico dell'orto, che a sua volta ha invece prodotto fiori - da tanto che si è fatto grande. Anche lui ha dato.


Fiori della pervinca ormai in declino



Fiori del basilico



E un po' stanco sono anch'io, dopo la raccolta delle nocciole. Anno record per la quantità. La qualità ha invece risentito delle piogge e dell'umido, che hanno portato la percentuale di marcio sino all'8% circa. Ho cercato di compensare essiccando le nocciole il più possibile, così da non farmele deprezzare più del dovuto. 
Un altro problema è stato l'erba alta che ha diminuito la resa della raccolta manuale. 
Tra qualche giorno abbiamo finito. E anche quest'anno i proventi sono sufficienti per ripagarmi le tasse, il carburante per motoseghe e decespugliatrici, le relative catene e lame - e se vogliamo mi piace pensare che mi ci sono comprato pure la bicicletta. 

Quindi per me va bene così, anzi va benissimo.
Sulla concorrenza da parte del mercato turco non ci posso fare niente, quindi è perfettamente inutile avvilirsi con discussioni del tipo "com'era remunerativo e felice il mercato della nocciola italiana quarant'anni fa": vuol dire che dovevo nascere negli anni Trenta e non nel 1972. Amen.





sopra: nocciole 2018 stese ad asciugare nell'aia;
quello di quest'anno è stato un raccolto record, ma
parecchie nocciole rimarranno non raccolte perchè
occultate dall'erba alta, altrettanto da record ( sotto ):







Diversi giorni fa ho raccolto fichidindia presso una campagna abbandonata qui vicino. Ho usato l'apposito attrezzo a bicchiere per prelevare i frutti mantenendo una distanza di sicurezza dalla pianta:






Ho aperto i fichidindia e li ho messi in frigo godendomeli a fine pranzo senza "spine piantate nella gola", chè le spine dei frutti agiscono solo a secco - e a contatto con la polpa o con lo strato di liquido sulla lama del coltello, si disattivano del tutto.


Fichidindia freschi e gratis.
Da anni me li godo come frutta di fine estate.




L'uva del pergolato è matura e gonfia dai numerosi giorni di pioggia di fine agosto. E' maturata anche quella che chiamo uva blu: la produce una vite che si trova sul muro in pietra. Si tratta di un'uva asperrima e immangiabile, ma i grappoli sono molto scenografici e non ho mai avuto l'animo di rimuovere la pianta.


Uva del pergolato, da viti rampicanti di circa 60 anni.


Un grappolo di fotogenica ma immangiabile "uva blu".




Questa sera ho raccolto un pomodoro speciale. E' venuto su da una pianta cresciuta accidentalmente sulla cenere di combustione di sterpaglie. Avevo curato questa pianta dandole un po' d'acqua nel corso dell'estate - forse quando la rimuoverò troverò una pentola d'oro:


Il pomodoro cresciuto sulla cenere.



La natura è stanca e un po' lo sono anch'io, dopo l'uscita in bici di ieri pomeriggio. Su per i monti che sono i miei monti - su fino a 1000 metri di quota sino al crinale dove c'è una quercia secolare che fa un gran rumore di foglie mosse dal vento. Poi giù per una pista sconnessa e sabbiosa, accidentata.  Paesi di Sicilia, bar con anziani che giocano a carte, la strada che serpeggia tra noccioleti.
Il ritorno a casa, una doccia, la cena, la notte, l'alba.

La luce di una nuova giornata sulle arance nuove, ancora verdi e durissime, che già mi parlano dell'anno prossimo.