La campagna è ammantata di verde - erba nuova, ancora bassa. I noccioli stanno perdendo le foglie e il grande noce vicino l'orto è tutto giallo. Stamattina ho smontato l'impalcatura per i pomodori, ancora visibile nella foto in basso:
Iniziano a maturare i mandaranci; le rare arance bianche pendono dagli alberi; i limoni attendono la concimazione. In basso, la grande quercia contempla il mare in lontananza.
L'albero di arance bianche, cultivar rara
Uno dei nostri venti limoni in attesa di concimazione
La grande quercia nella parte bassa della proprietà
Quest'anno è stato fortunato anche per gli ulivi; le piante erano abbastanza cariche. I cinque grandi alberi che ho potato l'anno scorso più altri quattro nella parte alta - non potati - ci hanno dato litri di prezioso olio, ottenuto lavorando in tandem con i miei vicini dalle 6 del mattino alle 17 per due giorni.
Sopra: i nostri alberi di oliva varietà Minuta dei Nebrodi. Si tratta di un'oliva dalla bassa resa ma acidità praticamente nulla, particolarmente ricca in polifenoli e vitamina E.
In rete ho reperito un'ottimo articolo in questa pagina, dove si pone giustamente l'accento sulla difficoltà di raccolta, spesso e volentieri effettuata in terreni scoscesi.
In alto: prima della raccolta ho riempito cinque barattoli da 1 Kg con olive scelte, particolarmente grandi, per la conservazione in salamoia
sotto: la parte alta del terreno con i quattro ulivi in zona scoscesa da cui abbiamo ottenuto tre sacchi:
L'albero più in alto di tutti, non potato, da cui non avevamo mai raccolto
Ho portato le olive al frantoio intorno alle 16. Regnava un gioioso caos: muletti impazziti, fuoristrada in arrivo con il bagagliaio carico, camion che ripartivano, gente che urlava per farsi sentire al di sopra del fracasso dei motori della coclea e della supercentrifuga. Anziani contadini che andavano via con i bidoni d'olio e un sorriso stampato in faccia come quello dei bambini. L'atmosfera che pervade un frantoio nei giorni di picco di raccolta è indescrivibile - bisogna viverla.
Ho conferito in totale 150 Kg di olive da cui, un'ora e mezza dopo, sono usciti 17 litri di prezioso, meraviglioso, olio.
in alto (foto di scarsa qualità scattate con lo smartphone): pesatura, centrifuga e uscita del prodotto; invece di portare a casa l'olio in un bidone di plastica ho disposto che fosse versato direttamente nelle lattine d'acciaio da 5 litri l'una con contrassegno per uso alimentare.
Ci tengo a sottolineare che questa campagna di raccolta è stata fatta in totale autonomia senza impiego di aiuti esterni - raccoglitori, operai ecc.; disporre le reti, bacchiare i rami, togliere le reti, spostarle altrove, riempire i sacchi, movimentarli, rimettere a posto tutto il materiale, fare insomma chilometri in tutte le direzioni per 8 ore di seguito non è stato un passatempo.
Sono grato al mio corpo per quello che mi ha concesso e orgoglioso del mio olio e dei miei alberi. Anche questa volta è stata un'emozione.
La sveglia è alle 6 e trenta, quando è ancora buio e Venere splende fissa e azzurra. Colazione nella cucina che vagamente odora di legna bruciata della sera prima. La luce arancione del sole colora puntualmente il muro della ex stalla e il bosco di noccioli e castagni -
Esco e sento i primi uccelli, annuso l'aria carica d'umido della notte appena passata; ripulisco la stufa e riempio altre cassette di legna per la sera che verrà. Un giorno sì e uno no esco per comprare il Pane locale o per qualche rifornimento.
Abbiamo acquistato e messo a dimora nuove piante. La prima è un alloro; l'infuso caldo di foglie d'alloro mi piace da morire. Ha trovato un posto riparato e non troppo al sole a fianco della ex stalla:
Altre new entry sono i kaki; indecisi tra la cultivar tradizionale e il "mela" li abbiamo comprati entrambi e collocati in un'area soleggiata a lato della strada interna.
Infine abbiamo impiantato un mini frutteto consistente in: pera Williams, pera Abate, mela Fuji e mela Red Delicious. Hanno trovato posto nella parte bassa del terreno, in uno spazio tra gli agrumi ricavato sei anni fa. Prima di piantare ho decespugliato l'area in modo da fare un lavoro pulito - perfetto.
Stiamo recuperando zone dismesse del noccioleto - aree infestate dai rovi e dall'edera letteralmente inaccessibili. Le temperature fresche di novembre aiutano un mondo. Sono lavori pesanti e strutturali impensabili a giugno o luglio -
Nella parte alta ho liberato l'ultimo nocciolo, che era rimasto ancora da fare dallo scorso anno. Tutt'attorno ho ricavato a colpi di zappa una serie di sentieri che permettono di muoversi in piano senza l'effetto "bagnasciuga". Con la terra resa morbida dalla pioggia realizzare questi sentieri è un piacere e mi si consenta l'espressione: una forma d'arte, in qualche modo.
Sopra: l'ultimo nocciolo della parte alta rimasto da recuperare. Un bell'esemplare invaso da rovi ed edera
Sotto: la pianta dopo l'intervento
Il lavoro di recupero prosegue ora in una zona più bassa. Il programma è di tre noccioli al giorno + la realizzazione del sentiero tecnico a poco a poco, in modo da non doverlo ricavare tutto in una volta.
In basso: immagini del noccioleto in corso di recupero
Sopra: preparazione dell'area prima della potatura dei noccioli. Prossimamente, a lavoro finito, pubblicherò le foto finali che forse renderanno meglio l'idea.
Poche mele quest'anno. Abbiamo raccolto qualcosa di piccolo da un altrettanto piccolo albero di mele gialle immediate discendenti delle mele selvatiche. Non fanno profumo ma sono buonissime e così tiriamo senza comprare frutta sino all'arrivo esplosivo dei mandaranci, che stanno diventando decisamente arancioni.
Ho trovato pochi porcini quest'anno - soltanto tre. Occasionalmente faccio una grigliata di carne con salsiccia locale ai semi di finocchio, variante messinese più gradita della catanese, più spessa e grassa.
Conservo l'entusiasmo per queste cose che faccio - non solo quelle piacevoli. Possiedo ancora forza e volontà per rendere migliore questo posto in cui passeggio e mi riempio di Bellezza. I miei progetti si sono solo temporaneamente spostati dalle escursioni ai lavori agricoli.
Muovendomi qui faccio già chilometri a piedi e le giornate passano senza accorgersene. Non ho la televisione e non la desidero. Guardo video di youtube su viaggi in bici o leggo libri di viaggi in inglese.
Alle 17 cala un umido che te lo raccomando - metto mano a un fascio di legnetti secchi e dò fuoco alla legna collocata in stufa. Ci ritiriamo in casa in compagnia di quegli animali puliti e silenziosi che sono i gatti. Il maschio adora la stufa - si addormenta accanto ad essa assumendo le pose più strane.
La fiamma arde sino alle 22, in genere. L'ultimo pezzo di legna finisce di bruciare annerendo il vetro della stufa che ripulirò domattina alle 7. Come ogni giorno.
All'inizio di novembre ho fatto una magnifica escursione di 30 Km in bici sui Nebrodi con pernottamento in tenda, attraversando secolari faggete e godendo di spettacolari panorami. L'uscita è stata effettuata in bikepacking, portando il minimo indispensabile e con una parte del carico collocata sul davanti.
Il giro è iniziato alle 8 del mattino dal pianoro di Case Mangalaviti, una grande masseria restaurata relativamente di recente a quota 1250 metri.
I fabbricati di Case Mangalaviti, punto di partenza
Lasciata la masseria affatto disabitata ho iniziato la dolce salita su pista in terra battuta all'interno di una vecchia faggeta che è considerata non a torto tra le più belle dei Nebrodi:
In circa mezz'ora sono giunto al passaggio di Portella Scafi, incrociando il Sentiero Italia-Dorsale dei Nebrodi; da qui mi sono portato verso la vicina Portella Balestra:
Panorama da P.lla Scafi; in alto a sin. il Monte Soro, m.1847
Sosta all'interno di una pineta presso P.lla Balestra, m.1550
Da qui ho iniziato una lunga discesa di 13 chilometri all'interno del selvaggio Bosco di Grappidà, perdendo oltre 600 metri di quota sino al guado del torrente Martello.
Questa discesa è molto impegnativa; si svolge su pista sconnessa e pietrosa dove sono richiesti attenzione massima e buon sistema frenante. Non mi sono pentito di aver trascorso parecchio tempo a mettere bene a punto i freni, prima di partire.
Il bosco di Grappidà è bellissimo e immerso nel silenzio; ho incontrato solo maiali selvatici, bovini, cavalli passando tra vecchi faggi e querce che fanno a gara nel loro splendore autunnale.
In discesa all'interno del vasto Bosco Grappidà
sopra: la pista di Grappidà è poco battuta e qualche bivio potrebbe indurre incertezza. L'uso dell'applicazione di orientamento su smartphone è stato di enorme conforto.
Intorno alle 12 ho raggiunto il temuto guado del torrente Martello, il quale non mi ha impensierito data la scarsità attuale d'acqua. Superato il passaggio, sono entrato nel demanio forestale Barrilà-Longi risalendo dolcemente il versante meridionale della valle -
Un paio di chilometri dopo mi sono fermato a mangiare presso una bella fontana in pietra salutando un paio di allevatori di passaggio sui loro fuoristrada.
sopra: pranzo con pane ai cereali, pecorino locale e mele dell'Etna
Quattro chilometri di pista in leggera salita mi hanno portato ai 1200 metri di Case Barrilà, un punto che ha sempre destato il mio interesse per la presenza di ruderi di abitazioni. Da scarse notizie ottenute chiedendo in giro, qui si trovavano "quasi cento case" che furono abbandonate intorno agli anni '50.
Di fatto credo che anche i materiali da costruzione siano stati portati a valle, dato che l'altezza dei pochi muri visibili non supera il metro da terra. L'area non è visitabile a causa di masse colossali di rovi - bisognerebbe farsi strada con una falce. L'unico punto accessibile e ancora in uso è un abbeveratoio dove si trova incassata una lastra di pietra con scritte antiche e indecifrabili. Neanche in rete ho reperito notizie su queste misteriose"cento case" di Barrilà, a pochi passi dall'omonimo torrente -
Sopra: lungo la bella pista del demanio forestale Barrilà-Longi. Notare la collocazione del treppiede sulla borsa anteriore: a differenza di un'escursione con lo zaino ci metto un secondo a tirarlo via e impiegarlo all'uso.
in alto: l'abbeveratoio di Case Barrilà
sopra: Case Barrilà; dalla vista aerea (Mapy.cz) si intuiscono diversi corpi di fabbrica accorpati e le geometrie regolari di un insediamento contadino.
Superato il ponte sul torrente Barrilà ho affrontato una salita tremenda al 16% di pendenza dove malgrado il rapportone da montagna sono stato costretto a scendere e spingere. Giunto in cima ho reperito con una certa difficoltà un posto panoramico per la tenda, piazzata con vista verso l'Etna e i boschi di faggi illuminati dall'ultimo sole della giornata.
L'umidità era dapprima fortissima - poi è arrivato un vento da sud che ha asciugato tutto - compreso il telo esterno della tenda che già grondava d'acqua.
Ponte sul torrente Barrilà
Posto tenda a quota 1300 m. con vista sull'Etna
Cena con wurstel pollo e tacchino, mele e castagne della mia campagna
SECONDO GIORNO
Dopo la sveglia alle 6 ho indugiato ancora un po' nel sacco a pelo. La tenda era perfettamente asciutta e l'ho ripiegata con facilità. Il sole basso di novembre illuminava di rosso i boschi di faggi a nord di Monte Soro (m.1847), la più alta cima dei Nebrodi.
Settecento metri mi separavano dall'area di Case Forestali Botti, dove si trova uno spazio verde con panche, tavoli e una fontana. Ho deciso di far colazione lì invece che scomodamente nell'abside della tenda.
sopra e sotto:
colazione presso l'area attrezzata di Case Botti, m.1377
Finita la colazione ho ripreso la strada verso Portella Balestra e il bosco di Mangalaviti; mille altre volte ho percorso questo tratto finale soffrendo sotto il fardello di zaini più o meno pesanti e con piedi e schiena doloranti. Questa volta lo sforzo lo ha fatto la gravità: seduto sul sellino della bici, sono planato dolcemente e felicemente attraverso lo splendido bosco sino al punto dove avevo lasciato la macchina.
Ho concluso l'escursione alle 10 a.m. sul pianoro assolato sul quale alcuni bovini stavano sdraiati a godersi come me il panorama vasto e aperto sino al mare.
A P.lla Scafi, m.1455; sulla destra il Sentiero Italia/Dorsale dei Nebrodi
in basso:
l'arrivo a Case Mangalaviti
NOTE
La bici in "regime" di bikepacking: cosa significa? In parole povere si tratta di portare con sè il minimo indispensabile (e una volta tornati a casa si scoprirà che qualcosa in meno si poteva anche portare).
Niente graticola per arrostire nè mega-provviste; niente bottiglia di vino celebrativa nè libro cartaceo da leggere la sera.
Sul portabagagli posteriore solo due borse impermeabili di piccola capienza, una per il vestiario e l'altra per il cibo.
Sul portabagagli anteriore (ecco perchè non ho voluto la forcella ammortizzata) stanno: il sacco a pelo e la borsa cilindrica per la tenda e qualche attrezzo per eventuali riparazioni.
Ad una delle forcelle ho attaccato la stuoia isolante alluminata.
Al manubrio è applicata una piccola borsa per gli obiettivi fotografici. La macchina fotografica sta in uno zaino specifico per ciclismo che tengo alla schiena. Il treppiede si trova sul davanti, trattenuto semplicemente dalle corde elastiche. Chi non possiede attrezzatura fotografica avrà ancora meno peso da portare.
Questa del bikepacking è una recente piccola rivoluzione nel campo del cicloturismo - e devo dire che funziona. L'asso nella manica è proprio il carico posto davanti - quei chili in meno che occorre spingere e non tirare fanno una gran differenza.
Rispetto a un'escursione a piedi con zaino i vantaggi sono molteplici:
- velocità media di 15 e non 5 Km/h
- fatica solo in salita, zero in pianura e discesa
- nessuna vescica e dolore ai piedi, niente cinghie di zaino a torturare le spalle
- zero consumo di scarpe
- possibilità di portare senza problemi tutto il materiale che si fatica a far entrare in uno zaino
- facilità di accesso al treppiede e ad altra attrezzatura fotografica
Infine un consiglio sull'arte di ripiegare il sacco a pelo. Ogni tutorial dice la sua; chi fa quattro pieghe - chi mette dentro alla rinfusa. Un solo video mostra la tecnica giusta - che tiene conto del maggior ingombro della zona-testa:
Finalmente sono riuscito a piegare l'ingombrante sacco a pelo invernale di piumino Classic1000 della Mountain Equipment, che mi ha tenuto caldo nel corso della notte sui Nebrodi.