martedì 3 febbraio 2015

Varlam e il suo confino alla Kolyma.



'Krist non disse a Lida neppure una parola di ringraziamento. Nè lei ci contava. Per una cosa del genere non si dice grazie. Non è quella la parola adatta.'
1965,  Лида.



   Ci sono i corsi e ricorsi della storia - e anche i corsi e ricorsi della lettura. Ogni anno, non so perchè sempre tra gennaio e febbraio, mi ritrovo a leggere qualche episodio tratto dai libri di Varlam Šalamov,
I racconti di Kolyma.

   Varlam Šalamov ( 1907-1982 ) fu un insegnante russo che subì, a seguito delle grandi purghe staliniane, quasi vent'anni di condanna ai lavori forzati nelle miniere della Kolyma.
La Kolyma è una regione remota dell'estrema russia orientale. Corrisponde all'entroterra del porto di Magadan, dal quale appunto i prigionieri sbarcavano e -raramente- ripartivano.

   E' una regione selvaggia attraversata da una sterrata detta "strada delle ossa" perchè costruita dai detenuti, e di tanto in tanto punteggiata di città abbandonate. La sicurezza è bassissima, regna la mancanza pressochè assoluta della legge - in pratica si può essere assaliti derubati e uccisi come niente fosse. Se si scampa agli uomini  si può comunque finire mangiati dagli orsi - e se si scampa agli uni e agli altri si può morire assiderati a temperature che sono tra le più basse del pianeta, in inverno. Insomma, proprio un bel posto.

   Il mio idolo, Alastair Humphreys, attraversò questa regione in bicicletta nel corso del suo giro del mondo, uscendone miracolosamente indenne. Il racconto di Al si reperisce nei libri in formato .pdf liberamente scaricabili dal suo sito ( in lingua inglese ). Altri hanno attraversato la Kolyma in motocicletta, ma si è trattato di spedizioni sponsorizzate a fini televisivi, con mezzi di supporto e troupe al seguito.

  Possiedo ambedue i volumi di Šalamov. Il primo mi sembra il più riuscito, il secondo è più astratto nei contenuti. I due libri non sono molto conosciuti in Italia, e questo anche a causa di un certo ostracismo da parte di intellettuali per i quali solo i fascisti sono stati i cattivi, mentre in Russia "andava tutto bene".
I racconti di Kolyma sono un universo di orrori umani, ma anche la testimonianza di quanto la forza di volontà possa operare miracoli - in questo caso la sopravvivenza. In un microcosmo umano degradato e aberrante, lo scrittore ci racconta della gioia per una briciola di pane, per un'ora in più di sonno, per qualche minuto di riposo accanto a una stufa a legna, dopo ore passate all'aperto a picconare nel terreno gelato in un'esistenza da incubo.

  Compaiono delle figure femminili, anche. Ma i sentimenti passano in secondo piano, nella vita del lager staliniano che non lascia certo nessuno spazio all'amore. Eppure...
Il racconto che trovo più bello si trova nel primo volume - si intitola Lida  ( Лида ).
Potrei leggerlo cento volte, e cento volte mi commuove -
Credo che Šalamov abbia raggiunto in questo episodio il suo acuto più alto.

  Morì nel 1982 in piena guerra fredda, prima del crollo di quel regime che lo aveva condannato, e poi in tarda età riabilitato. Di uomini così non ne nascono molti ed è un onore conoscerli, seppur soltanto attraverso la parola scritta.







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