Ecco, anche questo viaggio è finito. E a me un po' dispiace. Un progetto nato senza incubazione, senza eccessivo studio nè clamorose aspettative. Eppure questi 16 giorni in bici sono stati tra i più belli della mia vita, e credetemi, non lo dico tanto per dire.
Mi sembra di aver viaggiato per mesi, tante sono state le emozioni, gli incontri, le belle cose che ho vissuto alla media di 18 chilometri orari lungo la strada dalla porta di casa a Trieste.
Ho navigato idealmente lungo il grande fiume, tra borghi agricoli sospesi nel tempo; ho visitato città splendide come Mantova, Ferrara, Chioggia. Mi sono accampato per la quasi totalità delle volte in tenda subendo umido, freddo e disagi, ma anche godendo di albe e tramonti spettacolari.
Ci sono stati momenti molto intensi, e incontri toccanti.
Ci sono state tante cose che lasceranno in me un segno indelebile.
Avrei molte persone da ringraziare. Tutti quelli che lungo la strada mi hanno salutato, incitato, sorriso. Tutti quelli che mi hanno dato un'indicazione giusta: perchè con una bici da quaranta chili gli errori costano cari...
Ringrazio Amedeo, che mi ha fatto dormire nel suo campo; Lina che mi ha offerto un caffè, Ondina settantenne di Trieste che "se avevo trent'anni meno sarei venuta con te". Tutte le centinaia di ciclisti che mi hanno fatto un segno di vittoria con la mano. E innumerevoli volti di persone che non conoscerò mai ma che mi hanno semplicemente augurato buon viaggio. Grazie a tutti.
Dedico questo racconto a ragazzi molto più sfortunati di me: i soldati caduti nella Prima Guerra Mondiale. Nella seconda parte del viaggio sono andato a trovarli dove hanno combattuto - e dove riposano. Io li chiamo eroi.
DIARIO DI VIAGGIO
In alto: il primo accampamento del viaggio, in un pioppeto di risaia
nei pressi di Motta Visconti (PV), ostentando coraggio e spavalderia.
8 aprile 2015. Ho lasciato casa alle 7 del mattino, inquieto per la
partenza ma soprattutto per il traffico che avrei dovuto affrontare sino
a Legnano e oltre. La grande città delle officine Ansaldo è
stata rimodernata, ritoccata all'insegna dell'avvenirismo urbano;
ansioso di sfuggire a questa caotica meraviglia priva di indicazioni
chiare per il centro, ho fatto rotta verso ovest in direzione del Ticino
per intercettarne la lunga e tranquilla ciclabile.
Il paesaggio d'acqua non si è fatto attendere: chiatte, ville
affacciate sul Naviglio, ricchi giardini e ponti settecenteschi gettati
sul fiume. Dopo un frugale pranzo in un bel giardino pubblico
consistente in una scatoletta di carne e un paio di fette di pane
integrale, ho raggiunto il Naviglio di Bereguardo e la bella abbazia di Morimondo, del XIII sec.
Al 92° chilometro, giudicando che come primo giorno la distanza poteva
bastare, mi sono accampato in un pioppeto che fiancheggiava una risaia
nei pressi di Motta Visconti. L'aria era tiepida, il tempo splendido. Ho
acceso la mia piccola radio e cucinato sulle note di musica jazz,
lasciando che lo spirito del viaggio entrasse a poco a poco in me.
L'alba del secondo giorno di viaggio proietta ombre lunghe dai filari
di pioppi: l'odore di questi alberi mi accompagnerà per centinaia di
chilometri. Procedendo sulla ciclabile che fiancheggia il Canale di Bereguardo
mi sono imbattuto in un'interruzione: c'erano un camion e una
scavatrice. Il camion occupava tutta la pista e l'operaio mi suggeriva
di deviare sulla strada asfaltata poco distante ma già pesantemente
trafficata: io invece gli ho suggerito di spostarsi giusto di quei
trenta centimetri che mi avrebbero permesso di passare, cosa che lui ha
fatto in poche decine di secondi. Beati gli uomini di buona volontà
...quando c'è chi gli dice cosa fare !
Mezz'ora dopo ho attraversato lo storico ponte di barche di Bereguardo, che appare nel film Il Maestro di Vigevano ( autore del libro L. Mastronardi ), quindi ho raggiunto Pavia passando su un altro manufatto storico: il ponte coperto. Dopo Pavia ho seguito un lungo tratto dell'antica Via Francigena,
guadagnando per pranzo il minuscolo borgo di San Giacomo della Cerreta,
che ospita un piccolo oratorio in mattoni rossi edificato fra il XII e
il XV secolo, una piccola perla isolata in una campagna divenuta sempre
più aperta, più vasta.
Nel tardo pomeriggio ho viaggiato per la prima volta lungo la strada dell'argine Maestro del Po a partire da Alberone, una piccola frazione agricola. La strada si presentava sterrata e interdetta alle auto: niente di meglio. Ho piantato la tenda presso un piccolo laghetto circondato da alti pioppi e fango semi asciutto. Durante la notte, fredda, il telo esterno ha generato litri di condensa.
In
alto: giorni tiepidi, notti fredde. Un risveglio che più umido di così
non si può - terza tappa Alberone-Cremona-Brancere, km 90,5.
La mattina presto, la luce dorata dell'alba, la strada dell'argine
deserta e bianca tutta per me. Niente auto da schivare, solo silenzio.
Questo tratto come ho già detto coincide con la Via Francigena ed è
spettacolare. Ho pedalato per decine e decine di chilometri su un nastro
d'asfalto liscio come la seta sino a Caselle Landi, un borgo agricolo
arioso dagli edifici gialli, dove ho approfittato della fontana pubblica
per lavare le stoviglie.
Nel pomeriggio ho raggiunto Cremona,
visitandone la bella piazza e uscendo dalla città su una pista erbosa
che mi ha portato sino a una località frequentata da pescatori situata
lungo un ramo morto del Po. Mi sono accampato senza andare troppo per il
sottile perchè si stava facendo tardi, ma il punteggio di sicurezza da
me assegnato a questo posto non era dei più alti, diciamo 6 su 10. Verso
sera ho sentito provenire della brutta musica da un bosco a circa
cento-duecento metri di distanza. Bassi ritmici, urla e risate. Qualcuno
stava facendo baldoria e speravo di non ricevere visite sgradite. Poi
alle 22 i misteriosi festaioli hanno smesso e sono andati via: forse ne
avevano abbastanza di beccarsi l'umido spaventoso della sera generato
dal fiume. Quello è rimasto tutto per me e la mia tenda, invece.
Persino Peppone si toglie il cappello per darmi il benvenuto
a Brescello, il leggendario borgo del Mondo Piccolo di Guareschi.
Nebbie mattutine e atmosfere inglesi. Alle 8 del mattino mi sono
rimesso in marcia lasciando l'accampamento. Ho incontrato due pescatori
che in effetti mi hanno detto che la zona è frequentata da romeni. "Non
che ci siano stati atti di criminalità, ma non si sa mai..."
Stagno Lombardo
è un borgo che emerge dalla nebbia e si sta svegliando. Ho fatto
colazione in un bar con un cappuccino e una veneziana appena sfornata,
quindi ho ripreso il viaggio passando sull'altra sponda del fiume lungo
un ponte interminabile ma poco trafficato in località San Daniele Po.
Alle 16 ho raggiunto Brescello,
il leggendario paese di don Camillo e Peppone, popolato di turisti che
fotografano tutto il fotografabile. E anch'io mi sono dato da fare. Ho
pedalato per tutto il pomeriggio sull'argine sino a toccare i 94
chilometri. Finita l'acqua, ho lasciato la strada per un piccolissimo
gruppo di case, Gonzagone. Mi sono recato a chiedere di riempire le
borracce presso un negozio di carne-alimentari e ho incontrato Amedeo,
che mi ha permesso di accamparmi sul suo terreno, dietro il recinto dei
suoi irrequieti struzzi d'allevamento. La sera ho cucinato dei wurstel e
brindato con della birra, sentendomi stanco ma molto felice.
Il sole sta per calare sul quarto giorno di viaggio.
Ho pedalato per 94 chilometri e mi accampo dietro
un allevamento di struzzi.
quest'esemplare non sembra affatto contento
di trovarmi accampato a pochi metri dal suo recinto !
L'orgia mangereccia di Mantova: stand con mega grigliata
di wurstel polacchi a buon prezzo.
Il campo agricolo è coperto di brina e vi insiste una striscia di
nebbia sottile. Ho lasciato un biglietto di ringraziamento fermandolo
con una pietra sulla soglia della porta dell'agricoltore, quindi ho
viaggiato ancora lungo il grande Po. In mattinata ho raggiunto la città
dei Gonzaga: la bellissima Mantova, trovando alloggio in un Bed
and Breakfast meravigliosamente gestito dove ho riconquistato pulizia e
civiltà dopo i quattro accampamenti selvaggi in tenda.
E' l'ultima della Tre Giorni di Mantova,
una manifestazione in cui si radunano stand gastronomici da tutta
Europa: salsicce tedesche e polacche, birra ceca e strudel austriaci,
frittura greca e persino dolci siciliani. Io mi sono diretto a colpo
sicuro verso lo stand bavarese, dove alla seconda birra alla spina già
discutevo faccia a faccia con i Gonzaga sui problemi della bonifica,
concludendo degnamente il quinto giorno di viaggio...
Lasciata un po' a malincuore la bella Mantova fatta su misura per i
ciclisti, ho pedalato verso est favorito da vento di coda. A Pieve di
Coriano quasi mi sono addormentato sulla panchina di un tranquillo parco
giochi, dopo una sosta in trattoria. Nel pomeriggio ho piantato la
tenda su un arenile sabbioso del Po, godendo dei colori del tramonto sul
fiume e trattenendomi dal desiderio di farvi un bagno completamente
nudo, in quanto la corrente dev'essere molto più forte e pericolosa di
quanto si immagini. La radio è stata la mia compagna - ne ho ascoltato
la musica anche stasera, in questo posto solitario. Mi sono addormentato
sulle note di un concerto di Mozart, mentre il campanile di un paese
dall'altra parte del fiume suonava le 22.
Ci passo o non ci passo ?
La lunga ciclabile del Po si arrende di fronte
a un ponte ferroviario in località Pontelagoscuro (Ferrara)
Ho abbandonato la spiaggia e iniziato a pedalare sull'argine. Dopo un
paio di chilometri è apparso il piccolo castello di Stellata, immerso in
un bosco verdissimo. Nel corso della giornata ho ascoltato la musica
del grande David Bowie, ritrovandomi a cantarci sopra per decine di
chilometri sino a Ferrara. Uscito dalla città ho pedalato ancora
in un paesaggio solare e agricolo sino in località Berra, dove ho
piantato la tenda ancora una volta lungo il fiume, in un bosco
parzialmente sfigurato dalle piene. Mancava poco per il delta, stando
alle carte: il viaggio sul "fiume dei banchi di scuola" stava per
concludersi.
Ad Ariano nel Polesine sono passato sulla sponda nord. Ho osservato dall'alto dell'argine parecchie grandi costruzioni rurali abbandonate dopo l'alluvione catastrofica del 1966, procedendo sino all'insolito campanile di Rivà, che svetta isolato in mezzo alla campagna, privo del corpo di fabbrica della canonica. Ho sopportato vento contrario sino a Santa Giulia, l'ultimo borgo agricolo anni '50 prima che il Po ormai diviso in vari rami incontri finalmente il mare.
Ho sentito il profumo intenso dell'aria salmastra, e pedalato per le pianure sconfinate del delta sino alla Sacca di Scardovari,
dove letteralmente acque e cielo si incontrano. Il paesaggio è
divenuto essenziale, assoluto, e ho urlato al vento che dopo Santa
Giulia mi sono trovato a favore. Dalle baracche di legno dei pescatori
sono piovuti saluti e incoraggiamenti, infine ho fermato la mia corsa e
mi sono accampato al riparo dalla strada, in una pianura soleggiata dove
sono stato assalito da zanzare enormi che per fortuna si sono dileguate
del tutto non appena è calato il sole.
in alto: un tratto della strada dell'argine Maestro,
che offre dall'alto dei suoi sette metri d'altezza uno
spettacolo privilegiato sulla pianura Padana.
Nona tappa. E' mattina presto e la piana del delta è immersa in una
fitta nebbia; per di più la segnaletica è scadente. Ho puntato per
Chioggia attraverso campi di bonifica solitari e sterminati, schiacciati
da un cielo infinito; non osavo immaginare come debba essere qui in
pieno inverno; - in un borgo minuscolo isolato nel nulla ho fatto una
breve sosta presso l'edificio di un asilo infantile costruito negli anni
'40. I proprietari di un'abitazione vicina mi hanno raccontato che una
volta qui ci vivevano centinaia di persone - c'erano un alimentari, una
rivendita di vino, insomma si svolgeva un'intensa vita agricola. Poi è
avvenuto l'esodo verso le città, verso la felicità...
Alle 14 ho raggiunto i canali di Chioggia,
che già odora di Venezia. Ho concluso la serata con una pizza e una
birra accanto al canale pieno di barche e solcato da ponti costruiti in
tutte le epoche.
in alto: isola di Burano; complessi rituali fotografico-artistici
messi in atto con meticolosità da giovani turiste francesi.
Mi sono diretto all'imbarcadero per la laguna veneta, sotto la pioggia.
Con un biglietto da 20 euro potevo salire su tutti i traghetti che
desideravo per l'intera giornata. Il mio obiettivo non era però Venezia,
dove la bici non è ammessa, bensì Burano, l'isola delle
merlettaie e delle case colorate: dei merletti francamente non mi
importava più di tanto, quello che mi attirava erano gli intonaci di
mille colori, che surriscaldavano i sensori della mia come di altre
mille macchine fotografiche; avevo visto delle foto di Burano su un
vecchio numero di Bell'Italia, era rimasto sempre un mio desiderio visitare quest'isola e adesso ero lì con la mia bicicletta.
La bella sorpresa di Burano è che allo sbarco sono stato accolto da un
bel parco con panchine e una fontana da cui sgorgava acqua fresca: dico
questo con sorpresa perchè normalmente la tattica usata nei posti molto
turistici è quella di far sparire sedili e fontane proprio per
costringere la gente a sedersi e dissetarsi a caro prezzo nei bar.
In serata, dopo la quinta e ultima traghettata, mi sono accampato sotto
la tettoia di una cascina abbandonata ma in ottimo stato giusto a poche
centinaia di metri dal porto. La copertura mi ha riparato egregiamente
dalla pioggia che è ripresa a cadere per tutta la notte su questo pezzo
d'Italia e sul mio viaggio.
Accampato in tenda sotto la pioggia sul greto
del fiume Piave - 11^ tappa Treporti-Salettuòl (Friuli) di km 76,1.
Tempo grigio e umido sul litorale del Cavallino, dove un'interminabile
ciclabile sterrata e solitaria che costeggia un canale mi ha portato
sino a Jesolo. Per la prima volta ho incrociato il Piave, che ho
risalito sino a Bocca di Callalta. Qui nel primissimo pomeriggio
ho visitato il sacrario dei caduti della prima guerra mondiale, un
edificio bianco punteggiato da archi e immerso in un silenzio spettrale.
Un locale accoglieva cimèli dei soldati: maglioni, giacche, binocoli,
cartucce, armi, gavette, scatole di medicazioni, persino un apparato
telefonico da campo. Ho osservato tutto con silenzio e rispetto -
uscendone fuori ho apprezzato intensamente la vita, la libertà.
Il vento è aumentato di intensità e dal cielo si è scaricata una forte
pioggia; ho indossato tutto il necessario e ho continuato ad avanzare
sino a oltrepassare il ponte sul Piave a Salettuòl. Mi sono
accampato sul greto del fiume sacro alla Patria, scegliendo con
attenzione sotto la pioggia sferzante tre pietre del fiume da conservare
per ricordo.
12^ tappa. Il temporale di ieri ha lasciato un clima fresco e splendido. E' stata la giornata delle chiacchierate (piacevoli): dapprima con una giovane ciclista in bici da corsa che mi ha affiancato per chilometri, poi con un altro cicloamatore che mi ha guidato nel dedalo delle strade di campagna; ancora dopo è stata la volta di una sessantenne che mi ha fermato a bordo strada e mi ha detto che con la bicicletta le avevo ricordato la sua infanzia; infine dopo pranzo un'altra signora mi ha invitato nel suo giardino dove ho passato oltre un'ora a parlare con lei di tante cose bevendo il tè freddo che mi ha offerto.
Ho trovato il
Friuli splendido, civilissimo e pulito, come e più della Svizzera - e la
gente, almeno in questa parte della regione, molto aperta e
comunicativa.
Un campo di filari infiniti di mele Royal Gala ha costituito il mio accampamento per la notte.
il sole del mattino scalda l'aria e scioglie la brina gelata
ai bordi del campo di mele Gala; Galleriano (UD).
L'ultima notte in Friuli è stata fredda; il campo era coperto di brina gelata, poi il sole ha scaldato l'aria. Ho raggiunto Udine con facilità, trovandola pulitissima e ariosa. La statale 54 mi ha portato dapprima a Cividale del Friuli, quindi alla frontiera con la Slovenia, raggiunta poco dopo le 16.
Con grande emozione, al 986° chilometro di viaggio, sono giunto a Kobarid,
Caporetto. Il luogo storico della disfatta dell'Armata italiana è un
piccolo delizioso paese di case colorate dallo stile vagamente montano,
un posto a dimensione davvero umana, senza snobismi e trappole per
turisti. Ho acquistato provviste e mi sono diretto a un paio di
chilometri dal paese, per accamparmi liberamente. Poichè però avevo
scorto l'insegna di un campeggio mi sono detto che una doccia calda
avrei potuto concedermela: il proprietario per soli 8 euro mi ha offerto
invece una sistemazione in un ostello di legno tutto per me dato che
gli unici altri clienti erano dei norvegesi che occupavano una casetta
di legno poco distante.
Raramente sono stato più felice. In un letto comodo, in una stanzetta
mansardata odorosa di legno, con bagni e docce puliti in modo
impeccabile a mia completa disposizione, e la radio slovena che
trasmetteva magnifica musica classica a tutto spiano. Più una mega
lattina di birra locale che mi ero opportunamente procurato...
Il nome di questo campeggio-ostello è Rut; si trova a un chilometro da Caporetto imboccando a sud del paese la strada per il villaggio di Svino.
Il nome di questo campeggio-ostello è Rut; si trova a un chilometro da Caporetto imboccando a sud del paese la strada per il villaggio di Svino.
Cerco un semplice campeggio e trovo un ostello di legno
tutto per me, nuovo di zecca e a poco prezzo; Kobarid (Slovenia).
Quella successiva è stata una giornata di riposo - obbligatoria la visita al Museo
della Grande Guerra di Caporetto. Due piani e numerose sale curate nei
minimi dettagli, ci ho passato dentro oltre due ore. Centinaia di foto
d'epoca, armi, documenti, cartine, mappe, oggettistica e vestiario,
plastici e una commovente stanza-caverna in cui una voce registrata
narra la lettera dal fronte di un giovane indirizzata al padre.
Nel piccolo cinema veniva proiettato un filmato di venti minuti; ho
zittito aspramente la scolaresca italiana che vi assisteva ridendo e
disturbando. Credo di non aver torto a pensare che queste visite di
studentelli nell'età dell'idiozia (la scuola media) servano solo
ad alimentare il business dei tour in pullman: ci guadagnano autisti,
albergatori, ristoratori e agenzie di viaggi. Più lo stato con le tasse
sul carburante che serve a scarrozzarli.
Ho dedicato il pomeriggio alla visita a piedi delle gole del fiume Isonzo, dal colore verde smeraldo, fino alla cascata del torrente Kozjak, incastonata tra alte rocce calcaree.
Il ragazzo del bar centrale di Caporetto mi ha offerto una birra alla spina fresca che mi ha rilassato tutti i chakra
contemporaneamente senza bisogno di affidarmi a lunghe meditazioni
orientali. Con la bici scarica ho fatto ritorno all'ostello, fermandomi a
metà strada all'imbrunire presso una panchina isolata tra i prati ai
piedi di una grande quercia. Qui, ascoltando l'eterna musica degli
Eagles, ho provato una straordinaria felicità, e forse per un attimo -
solo per un attimo - ho sentito, intuito qualcosa. Ricorderò questa giornata per tutta la vita.
Foschie mattutine in sollevamento lungo la strada dei villaggi
che costeggia il fiume Isonzo. Volarje ( Slovenia ).
Ho costeggiato l'Isonzo scegliendo la strada dei piccoli villaggi agricoli sino a Tolmino, occhieggiando il verde Isonzo. Poi sosta per pranzo a Kanal, Canale d'Isonzo. Nel pomeriggio sono rientrato in Italia oltrepassando Gorizia e accampandomi in un boschetto ai lati della statale per Trieste.
Oscuri avvertimenti in sloveno. Non chiedetemi cosa
significa, ma ho indossato il casco per prudenza !
Ultimo giorno di viaggio. Sono partito presto. Per la prima volta
l'aria notturna è stata fredda ma asciutta. Seguendo il consiglio di
un'anziana signora ho viaggiato lungo la statale costiera, un tappeto
d'asfalto panoramico aperto sull'Adriatico. In lontananza ho intravisto
le brutte ciminiere di Monfalcone, subito cancellate dal fascino del
castello di Miramare.
Mancavano pochi chilometri per la città ed ero sereno. Littoria si è fermata alle 9,38 in piazza Unità d'Italia a Trieste,
a 1112 chilometri da casa. Il pomeriggio, con non poche difficoltà,
avrei raggiunto i corrieri per rispedirla a casa, quindi prenotato il
mio ritorno in treno.
Le addette all'ufficio informazioni mi hanno indirizzato a un Bed and
Breakfast situato in un palazzo d'epoca che ricordava l'atmosfera dei
romanzi di Italo Svevo. Ho concluso la serata fotografando la bianca
città famosa per la Borsa, i commerci e il temibile vento di Bora,
avvertendo di fronte al mare, sulla spaziosa banchina, una piccola
fugace punta di malinconia persa in un oceano di felicità e
soddisfazione. E' stato un bel viaggio.
L'arrivo a Trieste nella vastissima piazza Unità d'Italia.
Sullo sfondo, lo storico palazzo del Lloyd Triestino.
Oh!
RispondiEliminaDevi essere passato dalle mie parti nel lontano 2015!
:D
Ciao!
Scusa la mancata risposta; non mi era stato notificato il commento.
EliminaProb. passerò ancora dalle tue parti nel 2020, aprile.