Il trasferimento in nave in Sicilia. 20 gradi, mare piatto, nave semivuota, autostrade semideserte.
L'arrivo a tarda sera, la campagna immersa nella nebbia, l'odore di pioggia, l'odore dei miei alberi, la chiave che entra nella serratura, la porta di ferro che si apre, l'odore della casa di 150 anni fa, la luce accesa, i bagagli da scaricare, l'oscurità della stanza con noi dentro, il silenzio assoluto.
L'alba dalla finestra di legno, la spesa da fare in paese, il gatto che non riesce a credere che siamo tornati e impazzisce di gioia - la giornata più bella della sua vita, i bottegai che ci riconoscono, la signora sconosciuta con cui parliamo per mezz'ora, le nuvole che avvolgono le montagne, la sorgente d'acqua dove riempio sei bottiglie, l'erba alta, il mare in lontananza, le pulizie di casa, il formaggio pecorino, la birra fresca nel frigo che sta raffreddando la nostra prima spesa, le prime arance raccolte da quell'albero là - no meglio quell'altro - il figlio dei vicini che è felice, sinceramente felice, di rivederci; la sera che scende su queste contrade, le nuvole rosate, immense, di queste parti.
L'albero di kumquat che avevamo potato, pieno di frutti.
La pietra che usavo per bloccare l'imposta della finestra.
Le sedie i mobili gli armadi la stufa a legna che anche se è spenta è una gioia per lo spirito.
La legna in legnaia, lì dove l'avevo lasciata.
La tovaglia a quadri bianchi e rossi, come quella delle trattorie.
Il tavolino di legno antico restaurato da dove sto scrivendo.
L'odore, l'odore, l'odore, non mi stanco di ripeterlo: l'odore di terra, l'odore di
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Sicilia.
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