sabato 28 gennaio 2012

Ispra e i suoi scienziati

Giugno 1998. Pomeriggio fotografico al Lago Maggiore nei pressi di Ispra.
Rilievi di inquinanti atmosferici NOx per conto del Centro di Ricerca
Rivedere dei film che ci ricordano un periodo, si spera piacevole, della vita, è sempre una bella sensazione. Io ho rivisto Local Hero (B.Forsyth, GB 1983), che mi ha ricordato una delle prime sere in cui mi trovavo al Centro Europeo di Ricerca Euratom di Ispra, adagiato nei pressi del Lago Maggiore, in provincia di Varese. Il mio relatore mi aveva spedito lì dalla turbolenta Catania allo scopo di svolgere la tesi di laurea su certi inquinanti atmosferici. In verità a lui interessava mandare gente “fuori porta” al chiaro scopo di far scrivere materiale sorprendente e innovativo per far colpo sui suoi colleghi e farli bollire d’invidia – me lo disse egli stesso chiaramente. A me che avevo vissuto per ventisei anni nel profondo sud, Ispra e il suo Centro  mi parvero una favola, e trovarmi lì non mi pareva vero. Il parco scientifico era a ingresso controllato, esso ospitava i vecchi reattori nucleari ormai in fase di bonifica, più una vasta costellazione di edifici di ricerca circondati da prati e boschi di betulle, immersi in una leggera nebbiolina e popolati da lepri e fagiani. C’era un’ottima mensa con self-service che mi sollevava dal problema dei pasti, e i tesisti alloggiavano a prezzi ridicoli in villette accorpate a loro volta immerse nella quiete di una collina. Le risorse provenivano dall’Unione Europea, ed erano notevoli. Gli stipendi (io non ero pagato, il mio era uno stage) erano commisurati al costo della vita del Belgio, non dell’Italia, pertanto chi aveva un posto fisso lì si arricchiva facilmente in pochi anni. A Ispra rimasi poco più di un anno, incontrando gente da tutta Europa, soprattutto danesi, tedeschi e olandesi. Collaborai con due danesi. Di essi ricordo l’atteggiamento molto spontaneo e allegro; sebbene fossero ricchi e preparati, non si davano arie per nessun motivo al mondo. Sembrava di dialogare con compagni di liceo, sempre pronti alla battuta e all’atteggiamento “easy”. Un modo di fare un po’ diverso da certi diplomatucci nostrani che sono diventati direttori negli anni delle vacche grasse e sembra, a sentirli parlare, che Domineddio sieda alla loro destra. A Ispra imparai molto inglese, tutto l’inglese che non avevo imparato al liceo, dove per cinque anni il professore occupava l’80% del tempo a utilizzare la cattedra come suo palcoscenico, blaterando proclami e ricordi di vita vissuta, conditi dai racconti estasiati delle gesta del suo nipotino adorato, di cui naturalmente non fregava niente a nessuno. Era anche colpa nostra; eravamo troppo stupidi e immaturi per reagire o criticare la cosa. Però credo che certi insegnanti dovrebbero fare un esame di coscienza prima di alzare la mano a pugno chiuso contro il Governo per l’ennesimo “intollerabile” taglio alla scuola.
Inverno 1998, Euratom Ispra. In laboratorio con N.J., chimico danese
Ispra fu un bel periodo della mia vita. Quando ormai mancava poco per finire la tesi, i danesi mi offrirono un posto da assistente ricercatore:  le cose non potevano andare meglio. Tornai a Catania per due settimane e mi laureai; con l’acquolina in bocca feci ritorno al Centro di Ricerca. Ma della mia assunzione non se ne fece niente perché con perfetto tempismo arrivò Romano Prodi nella presidenza alla Commissione Europea e subito tagliò assunzioni e fondi. La manna era finita. Avevano dato una pedata alla ciotola del cane ancora prima che iniziasse a mangiare. Me ne feci una ragione e levai le tende. Il seguito della storia lo si può leggere nel post “La mia gavetta”.
I danesi, ho visto su internet, sembrano essere rimasti ancora al loro posto. Campano cent’anni, loro.
Non è solo questione di preparazione. Ci vuole anche fortuna, nella vita.

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