giovedì 19 settembre 2019

Nel cuore selvaggio dei Nebrodi: Monte Pelato e la valle del torrente San Fratello.





Oltre a guardare le foto,
si può anche tentare di leggere.







Tour in bici più tenda tra le faggete d'alta quota dei Nebrodi e la selvaggia valle del torrente San Fratello. Due giorni consacrati all'avventura e alla fotografia in una delle aree più desolate del parco regionale.





PRIMO GIORNO
SS-289 VALICO FEMMINA MORTA-DORSALE SINO
A PORTELLA CALCARE-NOTTE A MONTE PELATO






Il mio giro in solitaria inizia con una sorpresa: P. di Ravenna è un cicloturista che sta festeggiando il suo 60esimo compleanno con un tour di un mese tra Corsica, Sardegna, Sicilia e costiera Amalfitana. Ed è subito amicizia totale. Percorriamo insieme i dodici chilometri di salita verso il valico di Femmina Morta, parlando della nostra passione comune.
P. è di un'allegria contagiosa, emana felicità, positività. Si gode questo viaggio metro per metro.

E un po' di emozione scappa a tutti e due - sconosciuti che si abbracciano stretti una volta arrivati in cima, dove le nostre strade si dividono. Lui si dirigerà verso l'Etna, io imboccherò la pista sterrata della dorsale dei Nebrodi, immergendomi nelle faggete.

ciao P. è stato un piacere trascorrere insieme queste due indimenticabili ore.




I primi chilometri sulla dorsale, poco dopo Portella Miraglia, m.1513



I faggi secolari sono ancora verdi. Pochi accenni di fogliame giallo-arancione che richiama l'autunno. L'aria è fresca - incontro qualcuno in fuoristrada reduce da battute di ricerca di funghi.
Sono turbato da un cruccio: la macchina fotografica non mette a fuoco bene sebbene la foto risulti corretta. Forse un urto ha spostato lo specchio - o il pentaprisma (?).

Stramaledico il fatto di averla collocata nella borsa al manubrio -  e già pavento la futura riparazione da fare al nord Italia a Milano, in un centro dove sono competenti ma anche specialisti nell'arte di far apparire un nonnulla una tragedia.






Mi fermo a mangiare un panino in mezzo al bosco e inizio ad armeggiare con la reflex. Scorro tutte le decine di parametri di settaggio, controllo ogni pulsante e infine scopro il mistero: si è spostata la ghiera di correzione diottrica del mirino !
Una sciocchezza che rimetto a posto in mezzo secondo.
La macchina torna a fotografare come niente fosse e il mio urlo di felicità si spande per chilometri: E Vaiiiiii !!!!!



Pochi accenni di autunno tra i faggi




Segnaletica CAI del Sentiero Italia sulla dorsale dei Nebrodi




Gasato come non mai sfreccio tra i boschi in direzione ovest sino a Portella Calcare, m.1533, dove la faggeta è talmente fitta da non far filtrare il sole.







Da Portella Calcare si stacca una stretta pista in salita verso Monte Pelato, definito da alcuni autori come uno dei punti più belli del parco dei Nebrodi.
Già in passato avevo tentato di raggiungerlo a piedi ma ero privo di gps, si era fatto pomeriggio e dovetti desistere anche a causa della lentezza ìnsita nell'atto del camminare.

Adesso ho due armi: le ruote e un'applicazione di orientamento dove la traccia è perfettamente mappata.
Viewranger mi guida verso la mèta attraverso una fittissima foresta che in cima lascia spazio a una radura: Monte Pelato per l'appunto.



Avanzo con sicurezza in direzione di M.Pelato
grazie alla fantastica app di navigazione Viewranger




Sulla cima di M.Pelato, m.1567




Un branco di suini neri fugge al mio arrivo in cima. Piazzo la tenda sulla radura erbosa dalla quale il panorama spazia verso Monte Soro, l'Etna e uno sconfinato mare di montagne e colline che si perdono verso sud.







Sulla cima che ho raggiunto gli unici manufatti sono
dei relitti di scale e recinzioni in legno che marcavano
territori comunali limitrofi




Cala la sera e un mare di nuvole si impiglia tra M.Pelato e la cima adiacente, Pizzo Buschi. Il sole scompare dietro le montagne e lascia un velo di luce arancione.
L'aria è fresca e c'è solo un accenno di vento; mi siedo su una pietra e ceno con dei ceci conditi con il mio prezzemolo.
















SECONDO GIORNO.
DA PORTELLA CERAMESE AL FONDO VALLE
E RISALITA VERSO IL PUNTO DI PARTENZA








Alle 6 e trenta il sole illumina questa fetta bellissima di mondo. E' stata una notte tranquilla - nessun animale mi ha disturbato o assalito. 
Appare la cima dell'Etna, invisibile ieri sera. Smonto il campo e ritraccio la strada per raggiungere di nuovo la dorsale.





sopra: la cima dell'Etna all'alba ripresa da M.Pelato, m.1567

sotto: mare di montagne in direzione sud







In breve raggiungo Portella del Ceramese e un abbeveratoio. Da qui inizia una lunga pista dissestata in discesa verso il fondovalle. Questa pista non risulta segnata su nessuna applicazione, solo sulla carta topografica dei Nebrodi.
E' un tratto selvaggio e solitario dove un errore può costare caro.

Tuttavia la app di orientamento che uso possiede la foto satellitare su cui la pista è quasi tutta visibile; grazie a questa informazione e alla sana vecchia cartina affronto questa interminabile strada disastrata dall'acqua piovana dove anche i fuoristrada devono far bene i loro conti -



Il lungo tratto in discesa da Portella Ceramese
al fondovalle




La pista passa per aree selvagge e spopolate. Incontro solo una casetta di pietra adibita a porcile e un ricovero per asini. Passo attraverso gallerie di rovi, sobbalziamo mille volte - io e la bici - su milioni di pietre sconnesse; giungo infine al guado del torrente Caprino, un vasto letto di pietre levigate dal corso d'acqua che in questo periodo dell'anno è quasi asciutto.



Il guado del torrente Caprino, qui a m.700;
sullo sfondo il pizzo Gilormo, m.1147




Inizia la faticosa risalita verso il punto di partenza. Più di 300 metri di dislivello in cinque chilometri di pista sconnessa sotto un sole che non è certo quello di luglio, ma si fa sentire.
Il paesaggio è arido e popolato da buoi e capre - tutt'altra cosa rispetto ai boschi di montagna.
















Riguadagnata la quota di 950 metri la pista finalmente spiana. Mi godo gli ultimi chilometri con spavalderia, affacciato sulla sterminata valle del torrente San Fratello, arido in basso e boscato alle quote più alte, punteggiato da sparuti insediamenti.











E' mezzogiorno passato quando chiudo l'anello e poggio la bici sul muro della trattoria in legno presso cui ho lasciato l'auto.
Una comitiva con accento settentrionale sta gustando tagliatelle ai funghi porcini mentre un suino nero dei Nebrodi razzola a pochi metri dai tavoli.

Mi chiedono da dove sto venendo: "da Monte Pelato, dalla dorsale", rispondo.
Ma i miei chiarimenti topografici non sono sufficienti. D'altronde come faccio a spiegare in due parole la complessità di un territorio come questo ?

Mi siedo anch'io fuori sul tavolone di legno. Ordino un piatto di antipasti locali e una birra fresca.
E' proprio il caso di dire che l'appetito vien mangiando: non ho finito il giro neanche da due minuti che già riapro la cartina e ricomincio a sognare.

Sì, sono fatto così.



L'arrivo al punto di inizio, la trattoria rustica Spazi Verdi,
sulla statale 289 tra San Fratello e il valico Femmina Morta




Il piccolo pranzo-premio dell'arrivo




CONSIGLI

Il giro è lungo 40 chilometri circa. Sorgenti d'acqua: lungo il tratto asfaltato per il valico F.Morta e a Portella Ceramese, circa 500 m. in discesa dalla portella stessa verso la valle del torrente S.Fratello, coord. 37°53'39,4'' N 14°34'40,89'' E (punto acqua non segnato su nessuna mappa).

Pista tra Portella Ceramese e guado torrente Caprino passando per pizzo Liberto: sconnessa e disagevole in parecchi tratti. Segnata solo su mappa 1:50mila della Litografia Artistica Cartografica (in basso).





NON AVVENTURATEVI MAI SENZA UNA CARTA TOPOGRAFICA DETTAGLIATA E IN CONDIZIONI DI BASSA VISIBILITA'. LE APP DI NAVIGAZIONE SONO MERAVIGLIOSE MA NON CONTATE SOLO SU DI ESSE.

Cosa ho imparato stavolta: NON mettere la reflex dentro la borsa al manubrio se si praticano piste in terra battuta. Troppi urti e sobbalzi. Sia la macchina fotografica che gli obiettivi vanno messi in uno zainetto sulla schiena. Qualcuno mi ha chiesto a cosa può servire uno zainetto per ciclismo: ecco, serve a non fracassare la delicata attrezzatura fotografica.






16 commenti:

  1. Wow, racconto entusiasmante e golosissimo il piatto di antipasti locali...
    Inoltre i nomi dei posti sono particolarmente evocativi :D

    Un abbraccio,

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    1. Non dico "luoghi incontaminati" perchè in Europa non esistono tali luoghi - l'uomo è passato dappertutto. Ma certo, un po' selvaggi sì.
      Trattorie locali che se ne infischiano del sushi e altre proposte inopportune/global food.

      Nomi dei posti evocativi, è vero. Ma in tanti anni non ho mai saputo perchè il valico Femmina Morta si chiama così. Non me lo ha saputo dire nessuno.

      Vorrei andare nel tuo blog ma è necessaria le registrazione (sigh!)...
      perchè? qualcuno ti importunava?

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    2. Ho smesso di scrivere su quel blog per vari motivi... il fatto che l'abbia messo come "privato" deriva dal fatto che qualcuno ci è andato a "frugare", non uno dei soliti (pochi) lettori, ma qualcuno che probabilmente non ha mai commentato ma si è permesso di giudicarmi su un blog di terzi, con un atteggiamento davvero mafioso, mentre commentava anonimamente per altro.
      Non so chi sia, credo comunque leggesse dal Canada o dal Regno unito.
      Per tutelarmi contro tali soggetti ho preferito mettere il blog privato.
      Adesso ne ho un altro, su cui però scrivo molto raramente.
      Se vuoi ti scrivo l'indirizzo ma vorrei che restasse tra noi, nel senso: non deve comparire qui sopra.
      Se mi fai sapere come contattarti, te lo faccio sapere (oppure lascio un commento con il mio utente google che poi però tu non dovrai pubblicare...)
      Un abbraccio,

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    3. scrivi pure l'indirizzo come commento. Mi arriverà la notifica e non la pubblico - anzi la cancello subito.

      oppure potresti scrivere l'indirizzo su un foglietto di carta e metterlo dentro la cavità alla base dell'ulivo secolare posto davanti la chiesa campestre del Buoncammino a Santa Teresa di Gallura in Sardegna.
      Ma in quest'ultimo caso qualcuno potrebbe precedermi e appropriarsi del foglietto.

      Sì, direi che il primo sistema è più semplice e sicuro!
      :-)

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    4. Insisto, Internet non è più come una volta. Non ha più senso mettere i fatti propri in rete.
      Comunque ocio che presso l'olivo secolare ti aspettano le Guardie del Cardinale.

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  2. Bell'avventura, peccato non esserci stati, ci eravamo organizzati una cena in simbiosi, avevamo messo nelle borse i ceci in scatola il prezzemolo e un pò di finocchietto selvatico, il panino sarebbe stato altrettanto simile,noi avevamo prosciutto crudo e gouda, tu emmental e speck. Mi sa che devo staccare la cartina dal muro in caso di simili escursioni, assolutamente spettacolare il posto in cui hai piantato la tenda..strategico direi. Prossimamente voglio provare una pista che da casa mia porta a Montalbano Elicona dal satellite sembra spettacolare e anche dall' alto visto che dalla strada guardando bene si intravede la strada c'è un ponte che attraversa il fiume e ci sono delle pozze dove (con il caldo) è possibile fare il bagno.

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    1. La dorsale è di per se bella, ma fin "troppo" frequentata. Fuoristrada, cercatori di funghi, occasionali motocrossisti ecc.
      Quando ci si allontana da essa per raggiungere mète decentrate come Monte Pelato, pizzo Buschi, pizzo Fau e altre, si entra in un mondo ancora più silenzioso e appartato.

      Voi siete di una generazione successiva alla mia, che è nata con la cartina e priva di mezzi digitali. Essi come ho scritto sono meravigliosi se funzionano. Ma una batteria scarica o un malfunzionamento può sempre intervenire. Quindi non bisogna riporvi fiducia al 100%. La cartina resta sempre il mezzo più affidabile.
      Inoltre la cartina non fa perdere l'abitudine all'orientamento - non ti vizia.
      Mai lasciarla a casa.

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  3. Secondo me il vantaggio maggiore della mappa cartacea è che pesa infinitamente meno di qualsiasi aggeggio elettronico e che, una volta messa dentro una busta di plastica, la puoi sbattere di qui e di la, ci può piovere sopra o battere il sole, senza timore di romperla. Non devi nemmeno temere che te la rubino, quindi la puoi lasciare nello zaino incustodito.

    D'altra parte, a me non è mai davvero servita una mappa. Mi basta studiare il percorso nei giorni precedenti sulle guide che trovi su Internet, magari guardare le foto satellitari di Google e memorizzare i punti di riferimento e i passaggi notevoli.

    Secondo me la cosa importante quando si fanno delle escursioni non è l'orientamento, tanto in Italia non ti puoi perdere davvero, bensì il buon senso di non andarsi a ficcare in situazioni pericolose, ovvero che implicano delle difficoltà che sono superiori alla nostra capacità e/o equipaggiamento. Ci sono gli incidenti ma i casi di cronaca in maggioranza riguardano gente che è andata la dove non avrebbe dovuto andare.

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    1. La carta resta sempre il riferimento principale.

      La carta dei Nebrodi che possiedo è ricavata direttamente dalle mappe IGM, che hanno rilievi aereofotogrammetrici risalenti a decenni fa. Sono perciò riportate piste che probabilmente esistevano all'epoca, in tempi in cui la presenza umana in questi territori era molto più significativa.

      Sul posto ho constatato che molte piste e deviazioni non esistono più, completamente fagocitate dalla vegetazione.
      Da un lato ciò semplifica la vita, perchè si finisce per seguire la strada "principale".

      comunque, carta o non carta, l'importante è finire sempre a tavola a mangiare qualcosa di LOCALE. Quella trattoria di montagna era davvero grandiosa.

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    2. "Locale" oggi in Italia e in Europa è una parolaccia.
      "Locale" è cacca, è il babau.

      Quando vai nella trattoria, che poi si deve chiamare con un termine meno "sovranista", che ne so qualcosa tipo "bistrot" o "izakaya", devi ordinare i gamberoni del sud Pacifico in salsa di quinoa e avocado.

      Altrimenti, come scrivevo nel blog del mistero, sei un povero sfigato che se avesse un buon stipendio e una bella figa la smetterebbe coi "localismi" sovranisti. Poi, sempre come scrivevo, certe "autarchie" le abbiamo già viste nei momenti peggiori della storia.

      Sto facendo del sarcasmo ma se vieni a Milano la sera e vedi il pullulare dei "riders" con la scatola sulla schiena che consegnano i gamberoni in salsa di quinoa e avocado, capisci che per molti è "dato di fatto", non sarcasmo.

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    3. Io posso parlare per il luogo dove vivo otto mesi l'anno = l'entroterra della prov. di Messina lato Tirreno.
      Specificatamente, qui le ondate del globalismo culinario hanno attecchito poco o nulla. Intendo dire: per ora e nella fascia territoriale interna.

      Il cibo locale è ricercato e apprezzato. Le trattorie rustiche e alla buona, ivi dette "baracche" nei mesi di luglio e agosto sono prese d'assalto e meta di pellegrinaggi sin da Catania (che vuol dire 150 chilometri a/r e duecento tornanti stradali).
      Io sporadicamente frequento quelle dai 700 metri di quota in su: mai vi ho reperito proposte di gamberoni, astici e/o altri cibi inopportuni in salsa esotica.

      Il discorso comincia già a cambiare man mano che si scende di quota e ci si avvicina alla costa. Nella fascia "marina" girano più soldi, la gente si veste in modo più ricercato, i beni e i servizi offerti sono palesemente più sofisticati.

      Di recente è apparso un cartellone a fondo nero che reclamizza il "sushi d'Oriente" e conosco personalmente chi vi si è recato a mangiare. Si tratta quasi sempre di provincialotti che hanno un buon impiego, si sono scavati una nicchia più o meno rassicurante e mangiando il "sushi" in qualche modo si sentono anche loro "cittadini del mondo".

      Non è tanto il "sushi" che è importante - o il gusto del sushi; ciò che conta è il "messeaggio partecipativo" che quel cibo suggerisce. Un po' come il trasferimento del corpo di Cristo assumendo l'ostia sacra = partecipo di qualcosa che per adesso non mi è dato raggiungere.

      E poi dire: "sono stata a mangiare il sushi" è un po' più figo e attenzionabile che dire "sono stata a mangiare la pizza 4 stagioni".

      A proposito dei riders, io una volta mi chiedevo perchè la cosiddetta "sinistra" non si occupi di questi poveracci sfruttati e preferisca piuttosto aprire le braccia ai nigeriani che sbarcano con lo smartphone in mano.
      Ora lo so. Ora ho le risposte.
      Sono appena reduce da una discussione con accaniti lettori di Repubblica sull'argomento.
      Lascio immaginare quale "democrazia" sia venuta fuori dalla controparte.
      Cascano le braccia.
      La macchinetta distributrice di caffè e bevande che trovi negli uffici riesce a elaborare risposte più sensate di quelle che sento ogni volta.

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    4. Oltre al fatto che i "rider" cacano e pisciano nei giardinetti dove giocano i bimbi, dato che in Italia notoriamente non esistono gabinetti pubblici, non si lavano le mani e girano su biciclette rubate. Tutta salute.

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  4. Bel giro, bei posti!
    Ma come fai a cenare solo con i ceci dopo una giornata in bici? A me basterebbero appena come aperitivo ahaha :)

    PS curiosità: autoritratti ambientati con telecomando remoto o temporizzatore?

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    1. Ciao, grazie.
      Mi pare che oltre ai ceci avevo piadina integrale e formaggio. Più che fame avevo una gran sete.

      Autoscatto con tempo di attesa di 20 secondi. Quando uso lenti grandangolari sembro molto più distante di quanto sia in realtà.

      A brevissimo dovrei fare un altro giro, tanto più che adesso c'è un bel freschetto. Finalmente.

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  5. Una delle cose belle (o brutte, a volte) delle escursioni in Sicilia è che non si incontra anima viva.
    Sui sentieri lombardi c'è più gente che in autostrada… :(

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    1. Sono due mondi diversi.
      In Lombardia gli sterminati aggregati metropolitani generano una sete di natura e di evasione senza limiti.
      In Sicilia e soprattutto sui Nebrodi c'è già in partenza molta meno gente. Il siciliano medio non ama camminare o andare in bici; perlomeno non per lunghi tratti.

      Se incontro brava gente (poca) a me fa piacere.
      Cerco di andare via sempre in mezzo alla settimana - mai il sab. o la domenica. Qui hanno la fissazione dei quads e delle moto fuoristrada, e trovo entrambi insopportabili.

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