sabato 25 novembre 2017

Omaggio all'Etna. Quattro anni di Fotografia di Paesaggio, 2014-2017.






Nel corso degli ultimi anni ho fatto innumerevoli escursioni nei posti più svariati della Sicilia. Questa regione offre una varietà di attrattive e di paesaggi davvero sconfinata. Ma di tutti i posti "speciali" che si offrono al visitatore, l'Etna rimane il più speciale di tutti. 

Ho selezionato una trentina di immagini che ritengo essere le più belle tra le centinaia che ho avuto il privilegio di scattare con la mia fedele Nikon. In attesa delle ultime escursioni siciliane di quest'anno, dedico questo post al Grande Vulcano alle cui falde sono nato - e possa la Fotografia essere - chi lo sa? - di incoraggiamento a recarsi in questa splendida isola e avvicinarsi alla Montagna nera che da millenni impaurisce e affascina gli uomini.


Rammento che tutte le immagini sono coperte
da Diritto d'Autore; l'uso diverso da quello strettamente
personale non è consentito.




A TRIBUTE TO MOUNT ETNA.
LANDSCAPE PHOTOGRAPHY, 2014-2017.


Il versante ovest da Monte Maletto, Giugno 2015.


Rimpicciolita e allontanata dall'uso del supergrandangolo da 8mm, la mole dell'Etna sembra una piccola montagnetta innocua circondata da un anello di nubi modellate dai venti d'alta quota, che formano una figura detta "contessa dei venti". In primo piano, le lave del 1976 su cui si posa l'ultima luce del pomeriggio.

 




Il complesso dei crateri sommitali dalla Dagala dell'Orso, Novembre 2015





Al termine di una lunga escursione fatta insieme all'amico Luigi ho ripreso con il teleobiettivo da 200mm la sommità innevata del vulcano da un punto chiamato Dagala dell'Orso. Nella toponomastica etnea, la "dagala" è un'isola di vegetazione risparmiata dalle colate laviche. In questo caso si tratta di una faggeta.





Il bosco colorato e le lave del 1981, Novembre 2017.

Un bosco coloratissimo costituito da faggi e abeti scampato alla furia delle lave del Marzo del 1981, che minacciarono la città di Randazzo e si arrestarono in prossimità della valle dell'Alcàntara.







 Terra nera di lave e desolazione, Novembre 2015.

Ancora il fiume di lava del 1981 ripreso dalla pista altomontana tra Monte Spagnolo e Monte Santa Maria, in una fredda giornata d'autunno.






L'ultima luce sul grande vulcano, Dicembre 2015.


Il sole tramonta sul fianco ovest dell'Etna e la luce arancione evidenzia le innumerevoli colate storiche. Quest'immagine è stata scattata nei pressi del rifugio della Galvarina, m.1879. In basso a sinistra si intravede una curva della pista Forestale altomontana che circonda gran parte dell'Etna mantenendosi più o meno sempre a questa quota. La pista è chiusa alle auto non autorizzate ed è un vero paradiso per l'escursionista a piedi o in mountain bike, dato che offre scenari straordinari e sempre cangianti. La scoprii per la prima volta nel 1989 e da allora l'ho percorsa un'infinità di volte.






Il piccolo rifugio di Monte Spagnolo, m.1440.


Lungo la pista altomontana che si snoda sull'Etna si trovano numerosi bivacchi in pietra lavica dotati di camino e aperti per gli escursionisti. Quello di Monte Spagnolo è uno dei più accoglienti, posto a pochi passi dall'omonimo cratere spento ricoperto di pini larici e ottimo punto di partenza per escursioni a quote più elevate come quella alla Grotta del Gelo.






Monte Spagnolo, Novembre 2017.


Uno scuro campo di lava e una splendida faggeta annunciano l'arrivo al vecchio cratere di Monte Spagnolo, sul versante nord del vulcano. I fianchi dell'Etna sono cosparsi di centinaia di crateri spenti come questo, detti secondari o avventizi. I più antichi sono stati colonizzati dalle vegetazione, i più recenti appaiono ancora nudi e neri di cenere.






 Il piccolo pino solitario sul fianco di Monte Mezza Luna, m.1769 - Novembre 2016.


La prima luce dell'alba su un campo di cenere lavica nei pressi del cratere spento di Monte Mezza Luna, imbiancato dalla brina ghiacciata nel corso della notte.






Campi lavici e licheni arancioni, Novembre 2015.


Sterminati campi di lava ripresi al tramonto sul versante nord dell'Etna tra i paesi di Randazzo e Maletto. 







Una piccola betulla resiste al vento, Dicembre 2015.


Una piccola betulla cresciuta sulla lava resiste al vento che investe con violenza il fianco ovest del vulcano. Sulla sinistra è visibile il cono di Monte Nunziata, generato dall'eruzione del 1843.







Terra aspra, e onirica. Novembre 2016.


Un'indimenticabile escursione che ha portato me e Luigi sull'orlo della valle del Bove, presso il Canalone dei Faggi affacciato a precipizio su un nero e immenso mare di lava. In questa foto, la foschìa si è allontanata per qualche minuto rivelando un paesaggio dalla geologia tormentata e dai colori spettacolari.






Dentro un vecchio cratere spento, Settembre 2015.


Ho trascorso una notte all'interno di un grande cratere spento sul versante est dell'Etna: Monte Frumento delle Concazze, m.2151 -

Dall'orlo del cratere si aprono panorami sconfinati verso le distese laviche e la costa ionica. Una delle notti in tenda più entusiasmanti della mia vita.






sopra: l'accampamento al centro dell'antico cratere;
la silhouette scura sullo sfondo è l'orlo del cono craterico, che è
uno dei più grandi presenti sull'Etna
sotto: i campi lavici ripresi da Monte Frumento,
detto "il Frumentone" per le sue dimensioni notevoli











La quercia sulle lave, Giugno 2015.


Una foto che è stata molto apprezzata su Flickr. Una giovane quercia si erge solitaria sull'antico campo lavico di Feudo Annunziata, nei pressi di Monte Spagnolo. Sullo sfondo, il sistema montuoso dei Nebrodi in una luminosa giornata di primavera.






Luce nel bosco, Novembre 2017.


I raggi del sole filtrano tra i tronchi dei pini larici che ricoprono il vecchio cratere di Monte Forno, m.1675







 I crateri del versante ovest, Novembre 2017.


L'affascinante paesaggio dei coni craterici spenti, particolarmente numerosi sul versante ovest dell'Etna. La ripresa è stata fatta dalla sommità di Monte De Fiore, originato da una breve eruzione occorsa nel 1974. Al centro della foto, il cono vulcanico gemello.







Tramonto alla Galvarina, Dicembre 2015.


Il sole tramonta sull'Etna. Un gelido pomeriggio nei pressi del rifugio della Galvarina, a quota 1879. Il rifugio è accessibile dalla pista altomontana Forestale, che qui tocca il suo punto più alto. A breve distanza da qui si trova l'articolata Grotta degli Archi, una delle numerose cavità di scorrimento lavico dell'Etna.









in alto e in basso: due riprese dell'escursione alla Grotta del Gelo, isolata
a quota 2043 m. sul versante settentrionale dell'Etna.












Sabbie nere, Settembre 2014.


La pista che dalla stazione turistica di Piano Provenzana sale a tornanti verso i crateri sommitali costeggia crateri vecchi e nuovi. Percorrendola a piedi o in bici si raggiungono quote sempre più alte sino al deserto vulcanico.






Antichi crateri, Settembre 2014.


Un ampio panorama sui vecchi crateri spenti ripresi dalla pista che da Piano Provenzana si dirige verso la sommità dell'Etna, da me percorsa faticosamente a piedi sino ai Pizzi Deneri, m.2847







Saponaria, Novembre 2016.


Bassi cespugli di Saponaria dell'Etna colonizzano le sabbie vulcaniche. Qui nei pressi del rifugio Citelli, m.1746. Il rifugio fu costruito negli anni Trenta - rimasto chiuso per anni, è stato riaperto e offre pasti e alloggio a pochi passi dal sentiero natura dei Monti Sartorius, un percorso facile e di grande interesse che si snoda tra vecchi crateri e boschi di betulla aetnensis, una specie endemica presente solo in aree isolate sul grande vulcano.







Betulla Aetnensis, Novembre 2016.


Un fitto boschetto di betulle dell'Etna. Qui nei pressi del rifugio Citelli, sul versante est del vulcano.








Contrasti vegetali e minerali, Novembre 2015.


Il coloratissimo foliage autunnale di un bosco di faggi e betulle fa da contrasto a un arido banco di lave cordate risalenti all'eruzione del 1614-1624.








 Dicchi magmatici, Novembre 2016.


Architetture di magma colonizzate da vegetazione radente nei pressi dell'Altopiano della Galvarina, m.1900







Yellow Burst, Novembre 2015.


Le faggete dell'Etna assumono colori incantevoli. Ho scattato questa foto a Dagala dell'Orso, oltre i 2000 metri di quota.





La valle del Bove ripresa da Serra delle Concazze, Novembre 2016.


Ogni lato dell'Etna sembra fare a gara con gli altri per offrire scenari mozzafiato. Qui siamo sull'orlo della leggendaria valle del Bove, dove da millenni si riversano colate laviche. Circondato da una di esse, si erge il vecchio cratere di Monte Simone, al centro nella foto.
Originato dall'eruzione del 1811 e investito da lave recenti, io e Luigi lo abbiamo raggiunto a Novembre dello scorso anno dopo esserci calati all'interno della valle.







in alto: la discesa lungo la ripida parete sabbiosa della valle del Bove

in basso: il profilo di Monte Simone, m.2086










sopra: escursione a Monte Simone - dicchi lavici risalenti a eruzioni preistoriche sui fianchi interni della valle del Bove.



sotto: il cratere di Monte Simone, isolato all'interno della valle e destinato in futuro a scomparire, sommerso da nuove eruzioni











"Fummo"
Piano Provenzana, Novembre 2016.


Scheletri di faggi investiti dall'eruzione del 2002 nei pressi di Piano Provenzana, stazione sciistica sul lato settentrionale dell'Etna.






Parla Lei, 'a Muntagna'
Dicembre 2015.


E infine Lei. La Montagna che si sveglia e ricorda all'uomo la sua energia. Già da tempo c'era stato un aumento del tremore, e varie emissioni di cenere e vapore. Sino al parossismo del 4 dicembre 2015. Mi trovo sulla pista altomontana, al posto giusto e al momento giusto: alle 10 e 45 un boato spaventoso precede un'emissione mista di cenere, vapore e lava che schizza in alto oltre il cratere per centinaia di metri. Uno spettacolo unico e meraviglioso.

Questa è una delle poche immagini relative a quest'attività scattate dal versante settentrionale del vulcano - probabilmente l'unica da questa quota.

Fortuna? Forse. Ma certo, quando si parla di fotografia di paesaggio entrano in gioco tanti altri fattori, tra cui la volontà di alzarsi ben prima dell'alba, o stare immobili al freddo gelido e al vento aspettando la luce di un tramonto, che dura al massimo del suo splendore non più di pochi minuti.

In altre parole, la Bellezza dà, ma anche chiede un minimo di sacrificio.
Che poi si traduce immancabilmente in un bel ricordo e -mi sia consentito- in una forma d'arte che si chiama Fotografia.

Da solo o in compagnia dell'amicissimo Luigi, gran conoscitore di sentieri e appassionato di vulcanologia, continuerò finchè posso a immortalare i paesaggi del grande vulcano: sabbie nere, vento, tempeste, lava, vita che muore, vita che rinasce. In una sola parola: Etna.
Madre e Nemesi di tutte le cose che erano, che sono, e che saranno in avvenire.






sopra: a sinistra me medesimo, il fotografo;
sulla destra Luigi, compagno di tante escursioni e grande conoscitore
dell'Etna. Qui davanti al camino acceso nel rifugio della Galvarina.
23 Novembre 2017.






sabato 18 novembre 2017

Note d'Autunno, semplicemente.






Questo sabato mattina uggioso e foriero di temporali ho raccolto le olive con l'aiuto dei miei vicini, che possiedono reti apposite e quanto serve alla bisogna. La produzione è stata scarsa ma abbiamo deciso di non perdere quello che gli alberi hanno comunque generato.

Gli ulivi che abbiamo sono di una varietà particolare DOP dei Nebrodi. Si chiamano Minute perchè piccole di dimensioni. Sebbene la resa nella spremitura sia tra le più basse, l'olio che se ne ricava ha un'acidità pressochè nulla e una struttura chimica che ne impedisce la degradazione: che ci si creda o no, dopo tre-quattro anni è ancora fresco come appena spremuto.

Due anni fa la produzione è stata notevole e abbiamo portato a casa 45 litri di quest'olio favoloso. Quest'anno se arriviamo a 10 litri è già tanto.
Ma va bene così.
Abbiamo iniziato a disporre le reti alle 8 di mattina e abbiamo terminato il lavoro alle 12 bagnati fradici dalla testa ai piedi a seguito del diluvio che è sceso dal cielo siciliano. E qui sul lato tirrenico, quando piove, piove che dio la manda -

Rientrato a casa ho fatto una doccia calda e acceso la stufa. Adorata divinità-stufa, da me recuperata tra i rottami di un fabbro: il proprietario l'aveva buttata via. I capelli me li sono asciugati al calore della stufa mentre fuori continuava a piovere a dirotto. Ho collocato i salsicciotti antispifferi alle vecchie imposte di legno, e preparato un "lauto" pranzo a base di pane di casa, pecorino, olive, vino e tre caki arancioni, bellissimi.









sopra e sotto: i caki tradizionali, semiliquidi.
Ben diversi dai caki-mela solidi introdotti recentemente
allo scopo di non far sbrodolare il consumatore.








Adoro i caki, ricchi di potassio e fonte di energia. Il vecchio albero sotto casa quest'anno ne ha prodotti a quintali. I frutti in eccesso rimangono sulla pianta, incapace di portarli a maturazione. Questo è stato un anno tutto strano: mele a fine Luglio; pere a tonnellate (mai così tante); funghi Porcini poco e niente (gli altri anni non sapevamo più che farcene); tutti gli altri tipi di funghi, soprattutto velenosi o sospetti: una marèa; noci... tante e precoci; castagne poche e piccole. Nocciole: una tonnellata esatta; uva abbondante e intatta come mai prima.

Forse è stata la siccità prolungata da inizio primavera a causare questa produzione "patchwork" che ha riguardato anche il mondo degli insetti: mosche e zanzare, rammento, quest'estate erano il 10% di quelle che ci sono normalmente: ogni cosa ha i suoi lati positivi. Maledetti insetti volanti - per fortuna l'Autunno puntualmente se li porta via, li fa sparire.




Uno dei due soli Porcini trovati quest'anno, a fine Settembre.




Poche castagne, quest'anno, diciamo una decina di ciotole come questa.




Noci a bizzeffe, e in anticipo. Almeno 40 chili.



Il pranzo mi è rimasto un po' sullo stomaco. Sorseggio un bicchiere di Magnesia Sanpellegrino. Mi ricorda mio nonno materno, la Magnesia. La prendeva sempre la sera, quella polvere bianca misteriosa pubblicizzata nelle riviste degli anni Trenta, per le quali io ho un autentico culto.






Ho fatto appena in tempo a portare le olive al frantoio, distante due chilometri da qui. Hanno detto che mi richiameranno quando il mio olio sarà pronto.
Ogni tanto mi arrivano notizie dal mio ex-posto di lavoro. Chi è riuscito a dare le dimissioni - chi ha fatto figli - chi ha avuto un infarto. Quanto era diversa, quella vita. Sembra lontana anni luce, eppure sono passati appena cinque anni. Forse ho fatto davvero tante cose, in questi cinque anni.

Fuori ha ripreso a piovere. Piove sul tetto della ex-stalla visibile dalla finestra: sono contento di averla ristrutturata, anche se è costata soldi e fatica. Nella stanza da dove scrivo la luce è sempre più bassa, e accendo una candela per vedere meglio la tastiera. Continuo ad alimentare la stufa, che divora legna di nocciolo e rumoreggia cupa: il rumore diventa più basso quando chiede altra legna - l'orecchio ormai è allenato a capire. Attualmente ho legna per una decina d'anni. E non ho messo mano al bosco di rovere lassù in alto, quasi impenetrabile. Neanch'io conosco bene il confine, e forse non lo saprò mai con precisione.


Mi sistemo su una poltrona dell'Ikea mezza distrutta dai gatti, col cuscino dietro, e leggo narrativa di viaggi.

Mi alzo per farmi un tè con una fetta di un limone raccolto fuori; poi mi alzo e torno al tavolo perchè mi è venuta un'idea su un'escursione da fare sull'Etna - e quindi tiro fuori la cartina e ci rimugino sopra venti minuti. Poi tiro fuori l'Atlante, perchè mi è venuta un'altra idea su un possibile viaggio in bici. Geograficamente, non ho mai pace.

Esco sulla soglia a osservare la pioggia, e i gatti ne approfittano per infilarsi in casa e appropriarsi di sedie e poltrone dove si inchioderanno fino a stasera. Quei due cornuti.






L'odore della legna bruciata mi arriva dalla canna fumaria, da sopra il tetto di questa casa di pietra. 
La foschìa ha ammantato il bosco appena dietro, che sparisce in un grigio uniforme.
Stasera guarderò al computer la seconda metà di un bel film che un caro amico mi ha salvato sull'hard-disk.

Scalderò dell'acqua in una pentola sopra la piastra di ghisa della stufa e ci riempirò la borsa dell'acqua calda da mettere dentro il letto. 
Ma prima so già che uscirò fuori qualche minuto ad annusare l'aria umidissima della sera e ad osservare le luci delle poche auto che viaggiano sulla strada di fondovalle, molto più in basso di qui.

C'è vento da Nord, e sarà una sera fredda.
Questo è quello che faccio o che farò, semplicemente - e che mi rende felice.



giovedì 16 novembre 2017

A piedi sui Nebrodi: il bivacco dimenticato di Monte Soro.



Open your eyes.
Realize you're not dead.
Take a look at an open book.
Do what you like, that's what I said.
Do what you like.
Blind Faith, 1969






I 1847 metri fanno di Monte Soro la cima più alta dei Nebrodi. Da qualche parte su questa montagna ricoperta di faggi esiste un bivacco in pietra segnato sulla mappa. Da tempo volevo esplorarlo e così ho fatto, rintracciandolo anche grazie alla navigazione gps. Vi ho trascorso la notte e vissuto un giorno e mezzo di cammino fotografico in una delle aree forse più remote e affascinanti del parco regionale.


Martedì 14 Novembre.
Alle 8 del mattino lascio l'auto presso l'ex masseria di Case Mangalaviti (Longi, ME) e inizio a camminare lungo una pista che mille volte ho percorso. Il cielo non promette niente di buono; le faggete sono al colmo del loro splendore.


All'inizio del percorso, presso Case Mangalaviti - m.1256






sopra e sotto:
faggi dal foliage autunnale e relitti
arborei nell'antico bosco di Mangalaviti, Nebrodi orientali.







Ho sostato presso la caserma Forestale Botti, dov'ero già passato lo scorso 26 Ottobre. Trovo anche stavolta operai intenti a costruire una fontana in pietra. Tra una parola e l'altra li informo della mia destinazione - è sempre bene far sapere alle persone "giuste" dove si è diretti, quando si tratta di montagna.

Inizio la lunga discesa nel vallone del torrente Barrilà, affluente del grande fiume Simeto; guado il corso d'acqua all'interno di una gola davvero selvaggia dai fianchi fittamente boscati.




In alto e in basso: lungo la pista che si inoltra
nel vallone del torrente Barrilà,
cosparso di colorati faggi.






Quest'area dei Nebrodi è davvero desolata; non si incontra anima viva. Ci sono incroci e deviazioni; bisogna sempre controllare bene la carta e fare il punto. Che poi è quello che ognuno dovrebbe cercare di fare nel corso della propria vita, per quanto è possibile.


 Mi scusi, questa è la pista giusta per il vallone Cerrita ?



Dopo il guado inizia una lunga e faticosa risalita sul versante opposto del vallone; lo zaino pesa e le gambe oggi sono stanche. E' quasi l'una e sta arrivando una fitta foschìa. Finalmente arrivo alla radura dove si trova il bivacco, completo di teschio di benvenuto. Sarà aperto ? Ci sarà legna ?


 L'arrivo al bivacco.




Un teschio di benvenuto appeso fuori.




La struttura è aperta, anzi fin troppo: la porta sgangherata lascia scoperta una lama d'aria di oltre dieci centimetri, e le finestre non sono dotate di vetri, cosa che qui sui Nebrodi pare essere la norma. Se le lascio aperte entra una corrente fredda e umida da intirizzire - se le chiudo, dentro mi ritrovo al buio.
Il tetto è a posto tranne qualche tegola rotta; le pareti esterne magnifiche, in pietra tagliata. All'interno ci sono: un tavolaccio spartano ma pulito, una mensola con le solite carabattole, e un grande camino.



Interno del bivacco. La grande macchia scura
sulla tavola è in realtà acqua che viene dal tetto.



Fuori inizia a piovere, e un'ora dopo cade un fitto nevischio. C'è un umido della malora e per riscaldarmi faccio una camminata di un'oretta a monte del bivacco, in un silenzio spettrale.








Si fa sera. Per ammazzare il tempo continuo la lettura di un nuovo libro digitale: '100 Days of Solitude' di Daphne Kapsali, ma lo interrompo a breve trovandolo spaventosamente noioso. L'introspezione mi piace, ma quando è esagerata diventa una sola cosa che si chiama sega mentale. Ciao Daphne.

Rimetto il lettore nello zaino e mi dedico a cose più serie, come accendere il fuoco.









Chi se ne importa di porte e finestre: mi siedo vicino alle fiamme di legna di faggio sino all'ora di cena. Tiro fuori della carne da cuocere alla brace sopra una rete elettrosaldata che mi sono portato dietro. La rete ha il pregio di essere leggerissima e pieghevole rispetto a una graticola tradizionale, la quale non si può mai sapere per certo se ci sarà, e in ogni caso è stata usata da sconosciuti e orrendamente lordata di grasso.










sopra e sotto: memorabile cena al bivacco selvaggio
con carne alla brace e birra tenuta al fresco all'aperto ( circa zero gradi );
pioggia fuori e camino funzionante.

Ma cosa si può volere di più ?
...oddio, un'ideuzza ce l'avrei, ma giace nel campo delle fantasie ;-D



Il mio caro amico S. si emozionerà sapendo dove e quando
ho bevuto la birretta che mi ha gentilmente donato -




Dopo la cena me ne sto due ore intere davanti al fuoco alimentandolo con la legna che avevo raccolto fuori. Ascolto per tutto il tempo il crepitare del camino e i concerti per oboe di Handel all'ipod. Questi suoi concerti sono spesso utilizzati nei documentari sul Medioevo, e qui in questa casetta di pietra con quest'atmosfera risultano appropriatissimi.
Perdete qualche minuto a leggere la vita di questo grande musicista vittima in tarda età della cecità, dei medici ciarlatani e dell'invidia umana: fu davvero un genio.

Infine, stanco sazio e soddisfatto, sistemo il saccoletto invernale sulla tavola e dormo. Pioverà incessantemente tutta la notte.


 Più "bivacco" di così non si può !





Mercoledì 15 Novembre.
La stanza è gelida. Il fuoco si è spento durante la notte e la corrente d'aria proveniente dalla porta ha fatto il resto. La crema al cioccolato da spalmare è un blocco solido. Ho dovuto indossare una maglia di lana e la calzamaglia tecnica dentro il saccoletto per temperature sottozero, e questo la dice lunga.

Faccio colazione e mi lavo la faccia grazie a un rigagnolo che scorre poco distante il bivacco. 
Alle 8 e trenta chiudo la porta e abbandono la casetta di pietra: chissà se la rivedrò. E' un posto magnifico, meriterebbe un piccolo investimento negli infissi e poco altro. Peccato.



Di nuovo in cammino. Qui nei pressi della Sorgente Ramo, m.1590










E' una giornata ventosa. Raffiche micidiali provenienti da Sud stanno spingendo a forza grandi masse nuvolose verso il mare. Cammino verso i poveri ruderi delle Case Monica, un tempo abitate dai pastori, e infine raggiungo il lago Biviere di Cesarò, dalle acque graffiate dal vento.











Il lago Biviere di Cesarò, m.1278.
Sulla sinistra, le pendici settentrionali di Monte Soro.



Cammino sotto un vento pazzesco che fa volare foglie da tutte le parti e rompe rami degli alberi. Entro in una faggeta un po' più riparata. Alle 12 circa sono di nuovo a Portella Scafi, da dove mancherà un'ora al punto di partenza dove ho lasciato l'auto.

Mi sento bene. Ho dormito magnificamente al bivacco dimenticato: il teschio di vacca mi ha protetto.
Alle Case Mangalaviti ci sono dei cavalli che brucano con lo sfondo delle Rocche calcaree, e scatto l'ultima foto.






Riavvio l'auto e faccio rotta verso casa. Mi fermo presso una baracca di legno prefabbricata con la scritta bar-panini. C'è un altro avventore, mio coetaneo, e iniziamo a parlare di montagna e di Nebrodi, e di cosa faccio, e di cosa fa lui, che è un sorvegliante antincendio stagionale del Corpo Forestale.

"Si potrebbero cambiare gli infissi a quel bivacco dove sono stato"

- "Non ne vale la pena. E poi i vandali li porterebbero via un'altra volta"

"Ma anche sull'Etna i bivacchi vengono danneggiati. Poi li riparano, è una spesa che ormai mettono in conto"

- "Qui no. La gente da queste parti non viene. Ci sono solo mucche. Quel bivacco è stato ristrutturato nel '95 e poi la Forestale lo ha abbandonato"
Finirò per passare nel locale un'ora e mezza. E non ci sarà verso di pagare il panino e le due birre. 



Tutto sommato l'incuria "programmata" ha i suoi lati positivi. Niente masse. Piste non segnalate e territori vergini dove si spingono solo sparuti escursionisti. Questo in fondo sono i Nebrodi.
Rimane il ricordo di quel camino acceso, della carne alla brace, della notte passata sul tavolo di legno ascoltando la pioggia.
In un bivacco dimenticato.

Le coordinate ? Andatevele a cercare: non sarò io a darvele.


 Com'è che li chiamano ?
Ah, sì: "momenti Nescafè" !