lunedì 18 marzo 2013

From Italy to Lappland - a un anno dalla partenza


Il lavorìo mentale che facciamo sul passato trasforma faticose ed estenuanti vicende in episodi-mito della nostra vita
 
12 marzo 2013. Un anno dalla partenza del grande viaggio in bicicletta verso la Lapponia. La memoria va alla strada, ai boschi, alla gente incontrata. Certe pasticcerie in Germania dove mi rifornivo di dolci - i laghi del grande nord - gli animali - il fascino della solitudine, quella indescrivibile sensazione del "sentirsi soli imbarcati in un'avventura".
 
Ecco, voglio tentare di descrivere proprio questa sensazione.
 
La mattina della partenza si presentò con un cielo lattiginoso, ma la giornata non prometteva pioggia. Stranamente non avevo passato la notte insonne come in altre occasioni. Uscii con la bici carica come un mulo alle sette del mattino per non farmi intercettare da eventuali vicini. Volevo partire in sordina, non avevo voglia di sollevare curiosità o rispondere a domande. Dopo una sosta alla piazza centrale di Turate dove scattai una brutta foto, mi diressi verso il piccolo borgo di Castelnuovo Bozzente - era un simbolico omaggio al paesino dove innumerevoli volte mi ero recato in bici da corsa. Raggiunsi Como alle 11 scansando il traffico pesante e inviperito tipico della Lombardia. Nella piazza di Como scambiai due parole con tre turisti giapponesi, poi ripresi la bici e andai avanti qualche chilometro per mangiare un panino - il primo di tanti - su una piazzola tranquilla di fronte al lago.
Ero come ipnotizzato - la bici andava avanti da sola. Non mi ero reso effettivamente conto che il viaggio era iniziato. Mi lasciavo per così dire guidare dall'onda degli eventi assistendovi da spettatore. Nel primo pomeriggio il traffico diminuì e ne approfittai per raggiungere Lenno e il piccolo albergo a 1 stella dove avrei passato la notte. Si sollevò un vento piuttosto freddo e fui contento di non dover accamparmi.
 
Il secondo giorno costeggiai il lago di Como fotografandone le numerose ville affacciate sulle acque. Indossai il giubbotto rifrangente e accesi la luce posteriore perchè c'erano numerose gallerie da attraversare. In una di queste un imbecille con un suv mi sfiorò a velocità folle suonando il clacson - forse l'idiota non mi aveva visto dato che procedeva a 140 all'ora. Evitai la pericolosa statale 36 e deviai a sinistra verso il Piano di Chiavenna, pedalando su piste ciclabili lungo l'argine di un fiume, quindi sostai presso il bar di un minuscolo paesino di montagna. Le salite arrivarono nel pomeriggio come una sberla violenta. Da Chiavenna a Villa di Chiavenna sono 300 metri di dislivello in neanche otto chilometri. Avevo finito di scherzare e me ne resi conto all'improvviso. Volevo concludere questa seconda giornata ancora in territorio italiano e decisi di fermarmi a Ponteggia, a pochi chilometri dal confine con la Svizzera.
 
Arrivai semidistrutto e sudato a un vecchio albergo. La bici venne custodita sotto chiave in un sotterraneo umidissimo confinante con un antico lavatoio. La stanza aveva una finestra che affacciava direttamente a strapiombo sulla gola del fiume Mera. Il letto era del tipo con la rete anni '50, quella che si piega a U sotto il peso del corpo - sapevo che avrei dormito male e così fu.
Mi indicarono un locale appena fuori del paese dove si serviva la cena. Per raggiungerlo si doveva salire a piedi per una mulattiera scarsamente illuminata che si snodava tra case da presepio. Erano povere case di montagna, alcune restaurate altre in disuso. Da dietro le costruzioni mi giungeva l'odore del bosco di castagni. Al locale mi feci servire una bistecca colossale e una birra che mi rinfrancarono. Erano le dieci della sera quando uscii e scesi a piedi dalla mulattiera per fare ritorno all'albergo. Tra quelle case umide con i tetti di pietra, in quel paese di confine, da solo e nella semioscurità, percepii d'un colpo la sensazione di essere veramente in viaggio, e la cosa mi galvanizzò.
 
Pochi chilometri ancora e il territorio italiano sarebbe finito. L'indomani sarebbe stata Svizzera, poi Val Bregaglia, poi Passo del Maloja, poi la valle dell'Inn e l'interminabile discesa nel cuore asburgico d'Europa, sino a Innsbruk. Poi...
 
...il pensiero della Lapponia, della Svezia, era ancora lontano. Era come un miraggio, qualcosa di nebuloso che si affacciava nella mia mente. Non era tempo di pensarci.
 
Ma ero in viaggio.
 
 

domenica 3 marzo 2013

In bici all'antico monastero


Altra escursione in bicicletta. Da tempo immemorabile volevo visitare l'antico monastero di Fragalà, sui monti Nebrodi tra Longi e Frazzanò. L'edificio sorge a 730 metri di quota ed è stato restaurato nel 2005 dopo anni di abbandono. Voglio raggiungerlo in bici per godere del paesaggio, del contesto che lo circonda - e ci vado di giovedì mattina quando scolaresche e turisti non ci sono e il posto è tutto per me.

In alto: la valle del fiume Milè.
Sulla destra il centro montano di Longi sovrastato dalle Rocche del Crasto, m.1315
 
Da Longi raggiungo in breve il Passo della Zita (=della fidanzata) e pedalando a mezza costa tra montagne brulle sulle quali incombono le Rocche del Crasto (m.1315) raggiungo il posto. Visito i resti della chiesa, i magazzini, le celle dei monaci, il convitto e la cucina. La stanza del priore è privilegiata: godeva di un bagno privato e di un affresco sul soffitto. Edificato nell'anno 1090 da Ruggero I il normanno, l'antico convento è posto in una posizione panoramica da cui si sorvegliavano un tempo importanti vie di comunicazione.

l'abitato montano di Longi
la strada che porta al Passo della Zita e al convento
parete sud del convento: in alto le finestre delle celle
l'interno della chiesa

il cortile del convento
affresco nella stanza del priore
Trascorro l'ora di pranzo all'aperto. Ho voglia di libertà, non desidero fare ritorno subito a casa. Dal monastero imbocco una carrozzabile in salita che porta al Passo Croce di Tenda, m.800 - poi salgo ancora e su sterrate accidentate in area Parco mi fermo presso una cava. Da qui estraevano i marmi che sono serviti alla costruzione del sacro edificio. Il paesaggio mi ricorda la Sardegna. Ovili e pietre, pochi alberi e molto, molto silenzio.

verso il Passo Croce di Tenda
pausa pranzo nei pressi della cava


Terminato di mangiare mi decido a rientrare a Longi per recuperare l'auto. Prima del piccolo paese di montagna odore di pecore e di legna bruciata a me grati segnano la fine di questa escursione in compagnia di Littoria. Tanta natura e anche tanta Storia, questa volta.

Convento di Fragalà - veduta della parete est

Con Littoria sui Nebrodi


Erano quattordici anni che non rimettevo i pedali in terra di Sicilia. Forse anche di più, dato che negli ultimi anni di università non è che avessi praticato chissà che gran ciclismo. Riprendo Littoria e la porto con una certa emozione su una strada che avevo adocchiato mesi fa sulla carta. E' un percorso che segue il crinale montuoso, con un dislivello di oltre 500 metri -

Parto da casa alle 6,30 del mattino e raggiungo il posto. Conifere e boschi ben tenuti, pozzanghere ghiacciate e freddo mi ricordano il paesaggio del nord Italia. La salita inizia subito, e dopo mesi di inattività pensavo di soccombere presto, invece le gambe reggono alla grande - merito del lavoro in campagna probabilmente. Finito l'asfalto mi ritrovo su una sterrata che guadagna un altopiano. E' una strada frequentata solo dai pastori - ci sono tracce di fuoristrada. Ma non vedo nessuno, solo cavalli e mucche. Sembra di essere in Etiopia.

 
paesaggio arido: ma è l'Etiopia o la Sicilia ?
Avanzo ancora. Tocco i 900 metri, tocco i 1000. Arrivo su un pianoro - credo di trovarmi in località Rocca di Poggio, oltre 1100 metri sul livello del mare. Il silenzio è surreale, assordante. C'è un furgone abbandonato colore verde che mi ricorda per qualche motivo il pullman del film 'Into the Wild' - mi fermo a mangiare pane, formaggio e arance.
 
 
La strada inizia a scendere e le condizioni del fondo a disastrarsi sempre di più. L'acqua ha scavato voragini profonde mezzo metro piene di detriti e ghiaccio. Più avanti ancora il paesaggio cambia ancora. Il deserto etiopico lascia il posto a un bosco di conifere - adesso sembra di essere in Scandinavia. Ma non posso distrarmi troppo, rischio di cadere ogni metro. Alla fine la bici si incaglia nella neve e scendo a spingere. Il tratto che sto attraversando non è segnato chiaramente sulla cartina, e di cartelli neanche a parlarne. Alla fine del bosco scorgo dall'alto un paese, deve trattarsi di Ucrìa. Ancora due chilometri e giungo a Portella Rinazzo, m.1037. La strada torna asfaltata e mi riporta a casa, ancora sconvolto dalla felicità che questa escursione mi ha regalato.

 
spingendo tra la neve in località "?"
 
condutture ghiacciate
a Portella Rinazzo, m.1037
panorami lungo la via di ritorno
tra le strade di Ucrìa, m.700
il pranzo frugale del rientro a casa
 

 
 

Solitudine, musica, rievocazioni

Tra pioggia e bel tempo, in solitudine. Ascolto fino all'ossessione i brani dei Rolling Stones. Rievoco il viaggio in Scandinavia, accendo l'adorata stufa a legna e riesco a fotografare una civetta che si era messa in posa sul pergolato. Ho voglia di riprendere la bici, di vedere qualcosa, di esplorare le montagne di Sicilia.



panorama da lupolibero