martedì 15 aprile 2025

Wild Sardegna 2025 - Diario di viaggio, prima parte.

 

19 marzo - 7 aprile 2025

WILD SARDEGNA, DIARIO DI VIAGGIO

parte prima

 


 

Sono a Porto Torres alle 8 e trenta passate. Rivedo la mia Sardegna dopo il tour del 2019 e quello, EPICO, del 1991. Cielo terso e aria fresca. Invece di pedalare subito via dalla città mi dirigo verso la cattedrale di San Gavino posta sulla cima di una collinetta che domina l'abitato.

Chiesa romanica curiosamente dotata di due absidi: si entra solo dal lato lungo, da un bel portale scolpito. Reso l'omaggio spirituale al Santo è ora di pensare al cibo: ridiscendo e mi reco al supermercato Lidl. Adesso sono davvero pronto a partire.

Wild Sardegna inizia dalla ciclabile costiera che parte dalla piazza Eroi del Mare. In breve mi porto verso la grande pineta marina di Platamona, dove le dune di sabbia terminano su un mare bellissimo. Anche qui la statale è affiancata da un'interminabile ciclabile protetta da una staccionata.




sopra: i primi chilometri dopo Porto Torres; 'San Gavino al mare' e Platamona Lido


All'altezza di Sorso abbandono la costa, e non sarà per poco. La strada si inoltra nella valle del fiume Silis e punta verso Osilo; in poche parole iniziano salite su salite. E io sono stanco, non ho le gambe al meglio. Il trasferimento in auto a Genova mi ha stressato - la notte in nave mi ha stancato.

Tengo duro e arrivo sudato a una minuscola frazione con una chiesa bianca appena restaurata: San Lorenzo. Mangio qualcosa e riparto: ancora salite. Ne avrò fino a 520 metri di quota, poco prima di Ploaghe

Da qui una stradina secondaria coincidente con il Cammino di Santu Jacu (San Giacomo) finalmente scende verso ovest, tra campagne e canneti lungo un torrente incassato in un canyon di arenaria. In alto svetta su una collina il primo nuraghe, Nieddu. Manca poco per una delle icone dell'architettura sacra: la chiesa in stile pisano di Santissima Trinità di Saccargia, la facciata principale illuminata dall'ultimo sole del pomeriggio.

Trovo un posto tranquillo e nascosto per la tenda giusto a poche centinaia di metri - che sollievo finire questa prima faticosa giornata, 66 chilometri e 706 metri di dislivello.

 


 

sopra: la bianca chiesetta di S.Lorenzo (Osilo) e il nuraghe Nieddu

sotto: Trinità di Saccargia e il primo accampamento





Day 2.

Mi sveglio sempre molto presto in tenda ma per quanto veloce possa fare, tra colazione e smontaggi passa sempre oltre un'ora e mezza per risalire sulla bici. Sono in un fondovalle e devo risalire bruscamente verso Codrongianos tramite una tortuosa stradina vicinale. Un cartello all'inizio di essa avvisa che la strada è chiusa per un cantiere a partire dalle 7 e trenta di mattina. Sono le 8 e trenta e decido di ignorare la cosa.

Il cantiere è appena prima del piccolo paese. Supplico un operaio di farmi passare e ottengo il benestare facilmente. Non avevo altre alternative, non potevo fare chilometriche deviazioni - non sono seduto a coffa su una potente moto che mangia salite al tocco di una manopola.

Ridiscendo in un ampio verdissimo fondovalle a metà del quale mi fermo presso un nuraghe di pietre bianche: si chiama Corvos. Queste fermate in piena campagna sono magnifiche - è proprio il turismo che adoro fatto di silenzio, solitudine e interessanti oggetti da esplorare. Le strade sono praticamente deserte - vedo infinitamente più pecore e capre che persone. Vengo inseguito da cani da pastore, e se si preannuncia una discesa mi diverto a seminarli. Se così non è mi fermo e allora anche il cane - la sua natura vigliacca e sottomessa - si ferma e si chiede "e adesso cosa faccio?" -

All'ora di pranzo giungo a Banari (420 m.), piccolo assolato paese di pietre rosse. Un toast e una lattina al bar della minuscola piazza mi rinfrancano e offrono l'occasione di scambiare due parole con i locali. Lavo un paio di calze presso un lavatoio ormai inutilizzato al margine dell'abitato.





in alto: nuraghe Corvos e le rosse case di Banari


Lunghe strade a volte sterrate, altre volte asfaltate - in ogni caso sempre solitarie mi portano in serata verso una pianura costellata di pascoli. Mi reco a piedi a esplorare il grande e rossastro nuraghe Oes, poi mi accampo presso un punto di ristoro in disuso. Ho percorso 51 chilometri con gambe appena un po' più efficienti rispetto al primo difficile giorno.




sopra: nuraghe Oes e il secondo accampamento nei pressi di Bonorva


Day 3.

L'alba della terza tappa è salutata dal vento. Ma non è maestrale - viene da sud. Raffiche forti e fastidiose, costanti. Me le becco per oltre 30 chilometri, scoprendo energie che non credevo sinceramente d'avere. Eolo si placa solo dopo mezzogiorno, quando oltrepasso Macomèr.

Mi fermo a Birori presso il bar di una stazione di servizio - anche qui chiacchiere e cordialità. Lasciato il paesino si dispiega un'immensa pianura che sembra non avere confini: la percorrerò per tutto il pomeriggio, con solo una sosta al nuraghe Ponte isolato tra querce e pascoli - dicono che il suo architrave sia il più grande in Sardegna, per un nuraghe.

Nel pomeriggio oltrepasso un paesino, Dualchi. Acquisto dell'acqua in un bar, dato che in Sardegna scarseggiano le fontane pubbliche. Un avventore discute con me del viaggio e della prossima strada da prendere: sarebbe una vecchia pista usata dai pastori segnata sulla mappa gps. In effetti la pista esiste, si intravede, ma è occultata dalla vegetazione. Non mi va di procedere nel nulla, in mezzo alla macchia. Sardegna Wild va bene, ma qui se succede qualcosa non passa anima viva.

Torno indietro perchè la prudenza non è mai troppa e raggiungo Aidomaggiore, accampandomi nei pressi di un'area naturale con ingresso libero.





sopra: la Signora Strada e i suoi orizzonti

sotto: il colossale nuraghe Ponte e l'accampamento nei pressi di Aidomaggiore





Day 4.

Giorno di semi riposo. Mancano solo 23 chilometri per Abbasanta, città di pietra vulcanica nera in tutto e per tutto uguale ai paesi ai piedi dell'Etna. Ma anche sede del grande nuraghe Losa, attrazione turistica non da poco. Lo raggiungo in mattinata attraverso una strada sterrata. Lungo la stradina, due inseguimenti di cani. Siccome ho tempo mi fermo e bersaglio a pietrate entrambi. Prima detestavo i cani - ora sto raggiungendo un gradino più elevato in questa mia specifica intolleranza.

Il complesso nuragico è splendido e lo visito in totale solitudine. Nessuna famigliola in giro con bambini impazienti che schiamazzano. Siamo io, il silenzio, la storia e il mio viaggio. Lo so, sono un misantropo.

La giornata termina in un Bed&Breakfast gestito alla grande: cortesia, pulizia, precisione e una colazione degna di essere chiamata tale.

 



sopra: la gigantesca mole del nuraghe Losa, ad Abbasanta


Day 5.

Lascio Abbasanta di buon mattino con un'insolita nebbia "nordica" che si dissolverà intorno alle 8. Strade sterrate di campagna e muretti che delimitano pascoli, all'infinito. Quanta terra, quanto verde, quanta natura. Percorro un tratto di strada già vissuto in bicicletta 34 anni fa in piena estate: allora sembrava un disseccato deserto australiano - adesso è tutto verde ma la vastità è rimasta la stessa.

A Fordongianus visito le terme romane con vasca di acqua fumante, poi risalgo verso la policroma chiesa campestre di S.Lussorio e infine ridiscendo verso la pianura di Terralba. Rettilinei infiniti ed eucaliptus, nuvole che galleggiano nel cielo. Pochissime auto anche qui, su strade tutto sommato più importanti.

Termino la tappa una decina di chilometri a nord di Guspini, in tenda sulla riva di un torrente. Le montagne minerarie si profilano a tramontana e mi fanno pensare a quanto sia incredibilmente produttivo lo spostamento in bicicletta. A quanta distanza si copra andando apparentemente a velocità modesta. Il posto che ho scelto per passare la notte mi piace da impazzire - sembra evocare un paesaggio sudamericano, con terra rossa e macchie folte di fichidindia. Dormirò bene.

 




in alto: un tratto di strada percorsa nel '91; le terme e la casa aragonese a Fordongianus

sotto: S.Lussorio, in viaggio e in tenda presso il Rio Sitzerri (Guspini)







Day 6.

Il corpo risponde bene se si mangia e si dorme a sufficienza, ed è quello che sento appena alzato. La temuta salita verso l'area mineraria di Montevecchio si rivela più facile di quanto pensassi. Vedo i grandi impianti in disuso e passo per il villaggio, dove i due unici bar sono chiusi e regna un'atmosfera di gradevole desolazione.

Seguo una tortuosa strada secondaria deserta che sfiora la pendici del monte Arcuentu e poi si decide a scendere a precipizio verso il mare della Costa Verde. Annuso l'aria e non ho bisogno di guardare il cielo per capire che a breve pioverà. 

Arriva pioggia medio forte e mi trovo in un'area dove non c'è il minimo riparo. Avanzo verso Piscinas; l'asfalto finisce e inizia uno sterrato sabbioso, infido e incoerente, scavato profondamente dall'acqua. Anche i costosi suv guidati dai turisti tedeschi fanno bene i loro conti, qui.

Piscinas è un avamposto marino famoso per le immense dune boscate da pini. In passato era un porto d'imbarco (non agevole) per il minerale estratto dalle miniere. Qui il mare è quasi sempre mosso. Continua a piovere anche più forte e valuto se fermarmi in tenda dove capita fottendomene dei divieti oppure tentare la carta di un campeggio dal nome impronunciabile a tre chilometri da qui. Malgrado lo scarso segnale telefonico chiamo il campeggio e scopro con sorpresa che è aperto.






sopra: l'arrivo all'area mineraria di Montevecchio, m.480


sotto: il viale "principale" di Montevecchio e il faticato arrivo a Piscinas






Il campeggio di Piscinas si rivela un gioiello: 34 anni qui non c'era nulla - ora trovo un camping ombreggiato, curato, pulito in modo professionale. Con tanto di ristorante. Scarto l'idea della tenda e scelgo una stanza (solo 40 euro, diamine) - due locali spaziosi e riscaldati, ben arredati e con bagno privato.

Metto ad asciugare tutto l'asciugabile e con preoccupazione punto l'asciugacapelli verso la macchina fotografica, che deve aver preso acqua malgrado l'avessi chiusa in un sacchetto. Ha problemi con l'inizializzazione, non sto a spiegarlo - diciamo un'invalidità al 20%, porca miseria. 

Mi consolo con una cena al ristorante del camping. Prezzo onesto, sala vuota e tutta per me, stufa a legna accesa, pecora in umido che si scioglie in bocca e una birra, circondato da vecchie foto in bianco e nero di lavoratori in miniera, chè tutto questo lusso in cui vivo e mi trovo sembra pure male.


Day 7.

Con rammarico lascio il campeggio-modello di Piscinas dopo una colazione indescrivibile in una veranda riscaldata con vista sulle dune. Mi riporto alla realtà della strada sterrata e in salita verso Ingurtosu, un altro borgo minerario storico ormai disabitato dov'ero passato 34 anni fa.

A quell'epoca venni ospitato dalla famiglia dell'ultimo minatore rimasto, che gestiva un ex bar-tabacchi. Ora l'edificio è completamente in rovina e transennato.




in alto: i ruderi della laveria di Naracauli, lasciata Piscinas; pozzo Gal

sotto: ricordi e nostalgia a Ingurtosu







Nel corso della stesura di questo testo mi sono chiesto se il continuo richiamo nostalgico al mio vecchio viaggio possa annoiare il lettore - sono giunto infine alla conclusione che la cosa non mi interessa. Si tratta di contenuti emotivamente di enorme importanza per me, pertanto li riporto - e non finirà qui.

 

Resto infatti immobile di fronte ai ruderi - e vedo il me-stesso di allora, in un tempo in cui non c'erano internet nè t-shirt sintetiche del Decathlon, e pedalai per 1000 chilometri con poche banconote da 100mila lire, una tenda e una bicicletta anni luce meno efficienti.

C'è un gran silenzio interrotto solo dagli uccelli e da un aereo altissimo nel cielo. Sono qui e non riesco a staccarmi, ad andarmene. E' il ricordo di quell'epico viaggio? Il richiamo della giovinezza? Forse i due viaggi, alla fine, sono una cosa sola - forse non c'è stato alcun lasso di tempo, paradossalmente.

Ma la strada è ancora lunga e devo ripartire. Guadagno un valico e scendo a tornanti verso il mare di Buggerru. Quante salite; tremenda quella che lascia il paese e si incunea in una valle umida e stretta dove sparisce del tutto il segnale telefonico. Sudo in salita per chilometri e chilometri. Incontro dei Forestali in auto e chiedo se possono farmi il favore di telefonare a casa da parte mia per avvertire che va tutto bene.

Mi fermo esausto in tenda presso un ennesimo edificio minerario abbandonato, Montecani.

Una buona notizia: la vecchia Nikon sembra essersi ripresa e ora funziona di nuovo bene. Starò più attento.








in alto: altre due immagini di Ingurtosu; l'arrivo a Buggerru; in tenda presso ex miniere Montecani


Day 8.

Notte fredda e umida quella trascorsa ai ruderi minerari. Riprendo la strada e affronto l'ultima salita verso il valico - manca poco, il grosso del lavoro lo avevo fatto ieri, sudando come un cane prima di Montecani.

Tra spuntoni calcarei appare il blu del mare e lo scoglio detto del Pan di Zucchero, presso Masua. Sublime visione, e gioia della discesa. Mi fermo presso un piccolo negozio di alimentari nella vicina Nebida; offrono un kit del pellegrino a 5 euro: un corposo panino, una lattina, 2 litri d'acqua e un frutto a scelta. Il pellegrinaggio in questione riguarda l'ormai conosciuto cammino minerario di Santa Barbara, di cui esiste anche la versione ciclistica.

Riprendo la strada dell'interno e attraverso montagne boscose e villaggi abbandonati come Monte Scorra giungo infine a Iglesias, preceduta da colossali impianti in disuso tra i quali emerge la torre restaurata dello storico pozzo Sella.

 





sopra: la vista del mare presso Masua; villaggi minerari abbandonati a Monte Scorra (1890)

sotto: l'arrivo a Iglesias




A Iglesias mi fermo in un B&B vicino al centro. In serata mi reco in una panineria-hamburgeria dove faccio conoscenza con un giovane sardo appassionato della sua terra e lusingato dal fatto che io ami la Sardegna. Un bell'incontro.


Day 9.

Mancano una sessantina di chilometri per Cagliari. Ho il vento a favore e le strade sono pianeggianti ad eccezione di una ripida collina isolata. Presso Elmas imbocco una ciclabile che dovrebbe portare al capoluogo evitando strade trafficate e snodandosi in mezzo agli stagni.

La pista si interrompe dopo mezzo chilometro di fronte a un ponte di legno incenerito da un incendio. Torno indietro e dopo cinque minuti mi ritrovo con la ruota (ovviamente) posteriore a terra. Arrivano nuvole che portano piogge fastidiose, di quelle che durano poco e poi smettono, quel tanto che basta per bagnarti fradicio.

Un 40enne in giro con il suo cane, anche lui ciclista (il 40enne, non il cane, nda) si offre di aprirmi il suo garage per sostituire la camera d'aria. Ovviamente accetto e concludo in 20 minuti e al riparo ciò per cui avrei impiegato un'ora, sotto pioggia intermittente.

Ricalcolo la traccia per Cagliari inserendo l'opzione 'ciclismo su strada' - alla fine il traffico risulta inferiore a quello che credevo. Raggiungo con fatica un B&B semioccultato nella parte medio alta della città e dedico il pomeriggio a visitare a piedi la parte storica posta in alto, il cosiddetto quartiere Castello. Ci sono vicoli e palazzoni antichi in stile genovese, e una vasta piazza panoramica da cui si vedono i tetti e un bel tramonto sul mare luccicante.

Da Porto Torres a qui ho percorso 485 chilometri - posso dire di aver concluso la prima parte.

Sopravvissuto a una quindicina di inseguimenti di cani e a una teoria interminabile di salite, ora vado a cercare un ristorante a buon mercato. 

 




 sopra: immagini di Cagliari dal Bastione di Saint Remy


2 commenti:

  1. Macché annoiare il lettore! Foto bellissime, racconto interessantissimo!

    Buona Pasqua intanto!!!

    (E per le foto a Ingurtosu: nulla è cambiato dei luoghi!!!!! Wow!!!)

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